Il saggio spegne le polemiche accese dallo stolto – Lunedì della VI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Dalla lettera di san Giacomo apostolo Giac 1,1-11
La vostra fede, messa alla prova, produce la pazienza perché siate perfetti e integri.
Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella diaspora, salute.
Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla.
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Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni.
Il fratello di umile condizione sia fiero di essere innalzato, il ricco, invece, di essere abbassato, perché come fiore d’erba passerà. Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l’erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco nelle sue imprese appassirà.
La prova, tempo di grazia
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Giacomo, autore della lettera, si presenta come «servo di Dio e del Signore Gesù Cristo» ai cristiani di origine giudaica che erano sparsi nel mondo greco-romano. Per questo fatto la lettera rientra nell’epistolario definito “cattolico”, infatti non si menziona una chiesa particolare. Il saluto letteralmente è un invito alla gioia, soprattutto nella prova. L’affermazione sulla «perfetta letizia» riecheggiano le beatitudini della versione matteana che culminano con la categoria dei perseguitati.
La sofferenza è un banco di prova della fede. Non è un male che viene da Dio perché verifichi quanta fede abbiamo né viene da Lui tollerato e usato come strumento di purificazione. La tentazione è una condizione che accomuna tutti gli uomini e a cui fu sottoposto anche Gesù. Egli insegna a coloro che credono in Lui a vivere la prova come un tempo propizio nel quale crescere nell’amore. La pazienza è la partecipazione alla croce di Gesù e di ogni sorella e fratello.
Ogni sofferenza, contraddicendo il fine per cui siamo stati creati, è una ingiustizia. Come tale in sé non è strumento di salvezza ma lo diventa nella misura in cui la si vive in piena comunione don Dio e i fratelli. La sapienza è lo Spirito Santo grazie al quale si può trasformare l’ingiusto dolore in giusta compassione.
Se è vero che Gesù Cristo è morto una volte per tutte donandoci il suo Spirito ed è divenuto sorgente di vita eterna, è altrettanto vero che il credente deve essere costante nella preghiera perché il dono non venga sciupato dall’abitudinarietà, non venga reso inefficace dall’orgoglio e non sia sopraffatto dalla paura.
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 8,11-13
Perché questa generazione chiede un segno?
In quel tempo, vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova.
Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno».
Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva.
Il saggio spegne le polemiche accese dallo stolto
Davanti al sordomuto, al quale Gesù aveva messo le dita negli orecchi e la saliva sulla bocca, elevando gli occhi al cielo aveva emesso un sospiro pronunciando il comando «Effatà», cioè «Apriti». Quell’uomo, chiuso nella sordità e nel mutismo, diviene capace di comunicare. La gente non ha visto il segno ma ne ha ammirato gli effetti. Questo basta per lasciarsi coinvolgere in un canto di lode: «Ha fatto bene ogni cosa! Fa udire i sordi e fa parlare i muti».
Nella scena descritta in questa pericope i farisei prendono il posto di coloro che si avvicinano a Gesù per essere guariti. Essi non si uniscono a coloro che vorrebbero beneficiare della sua potenza taumaturgica e neanche ai discepoli che, nell’intimità di una casa, lo interrogano per approfondire il suo insegnamento. I farisei si ergono a giudici inquisitori con la pretesa di dare sentenze prendendo a pretesto il comportamento e le parole di Gesù. Anche davanti a loro Gesù sospira, cioè dona lo Spirito, ma si trova di fronte un’opposizione dura contro la quale non può fare nulla. Non si tratta di una punizione, ma di una triste constatazione. Quei farisei hanno il cuore talmente indurito dall’orgoglio diventare impermeabile alla grazia di Dio. Per essi non può esserci nessun segno.
Anche noi potremmo essere come quei farisei che con il loro modo di fare vanificano il rapporto con Dio. L’orgoglio ottenebra la mente che non riesce a cogliere l’opportunità che Dio offre per essere guarito. Gesù non cede alla tentazione della polemica e si sottrae, come dovrebbe fare ognuno di noi, a quella folle discussione in cui una delle parti non cerca la verità ma il modo di umiliare l’altro. Anche noi dovremmo imparare a smorzare le polemiche e a non alimentarle con inutili dispute che rubano energie preziose per perseverare nel bene.
Dobbiamo convincerci che non possiamo piacere a tutti anche se il bene che possiamo fare non deve avere filtri selettivi e pregiudiziali ma deve avere un respiro universale, come il sole che sorge sui cattivi e sui buoni e la pioggia che bagna i cattivi e i buoni.
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Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“