don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 11 Dicembre 2022

361

Il Signore viene a portare la gioia della salvezza

III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE

Lectio

Is 35,1-6.8.10 

- Pubblicità -

Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi

L’oracolo del profeta Isaia è un vero e proprio vangelo, una notizia che suscita gioia: Dio viene a salvarvi. Non si annuncia un fatto futuro ma un evento presente perché Dio opera nell’oggi: Egli riscatta i prigionieri vittime della potenza malefica del peccato, che rende schiavi e desertifica la vita, per restituire libertà e fecondità. Dio vince con la forza creatrice del suo amore il rigore della morte per ridonare speranza e coraggio. Il profeta rivela la vicinanza di Dio che invita a cogliere nel tempo presente l’opportunità di cambiare condizione di vita. Bisogna spogliarsi di quello che appesantisce l’interiorità e blocca i movimenti perché con l’ascolto assiduo della parola di Dio possiamo irrobustire le nostre braccia per elevarle nella preghiera di lode e rendere più forti le nostre gambe per percorrere la via che Dio ci pone davanti mettendo in pratica la sua volontà. È tempo di abbandonare le vesti della lamentela e della rassegnazione per lasciarsi rivestire dell’abito nuziale della festa affinché si vada incontro al Dio della gioia.

Sal 145

- Pubblicità -

Vieni, Signore, a salvarci 

Il Salmo è un cantico di lode che i giudei recitano nella preghiera della mattina. Il salmista esprime la sua gioiosa riconoscenza verso il Signore impegnandosi a lodarlo ogni giorno perché Dio, che rimane fedele per sempre, quotidianamente rivela il suo amore misericordioso verso gli uomini. L’orante confessa la sua fiducia nel Signore perché è più affidabile degli uomini. Essi non sono credibili come lo è Dio perché egli ama l’uomo gratuitamente e senza alcun secondo fine. La gioia dei suoi figli è l’unica ragione per la quale egli ama. Che sia un amore vero e affidabile lo dice la cura paterna e materna con la quale provvede ai suoi figli. È misericordioso verso tutti ma ha un occhio di riguardo verso i figli più deboli. Anche chi non ha nulla di materiale da offrire a Dio può essere certo di essere benedetto da Lui.

Gc 5,7-10

Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina 

Giacomo invita insistentemente alla costanza. Il termine greco utilizzato potremmo tradurlo con longanimità che è l’attitudine ad affrontare la realtà con uno spirito positivo e aperto alla speranza. L’apostolo indica nell’agricoltore un modello di paziente attesa che si compiano i tempi del processo avviato con la semina. Il credente è longanimo allorquando confida nel Signore ed è certo del suo aiuto anche quando le prove della vita inducono allo scoraggiamento. In queste situazioni, tutt’altro che rare, non bisogna cedere alla paura ma rafforzare il cuore. Questo accade nel momento in cui lo si apre con fiducia e umiltà all’ascolto della Parola e, alla luce di essa, si riesce a cogliere l’opera di Dio nei frammenti della storia. Il tempo che viviamo è migliore di quello dei profeti che hanno atteso con fiducia il compimento della promessa di Dio che si è realizzata mediante Gesù Cristo. L’evento della redenzione ha inaugurato il tempo nel compimento della salvezza nel quale viviamo. Non abbiamo motivo di lamentarci e di giudicare perché davanti a noi non c’è l’incognita di una sentenza ma la luminosa certezza che Dio viene a salvarmi e a condurmi nel suo regno di giustizia e di pace. La speranza suggerisce le parole di consolazione e incoraggiamento ma soprattutto ispira gesti di carità fraterna che fanno pregustare la gioia della vita eterna.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 11,2-11

Giovanni Battista redarguendo quelli che andavano da lui senza una vera intenzione di cambiare vita li spronava a fare frutti degni di conversione. Le opere di giustizia sono i frutti dell’albero buono che rappresenta l’uomo giusto. Non basta pregare usando parole che non nascono dal cuore ma sono ritornelli imparati a memoria e non è neanche sufficiente essere scrupolosi esecutori della legge se non si tende alla misura alta della giustizia che è la misericordia. È necessario fare la volontà di Dio. Chi la compie rivela di essere una persona dalla fede robusta che gli garantisce solidità e fecondità, anche nel tempo della prova.

Giovanni stando nel deserto aveva preannunciato la venuta del Messia il quale avrebbe battezzato in Spirito Santo e fuoco. Egli immaginava il Cristo con i tratti di un giudice che avrebbe applicato in maniera rigorosa la giustizia retributiva infliggendo la pena ai colpevoli e premiando i giusti.

Oltre al momento del battesimo l’evangelista non menziona altri incontri tra Giovanni e Gesù, il quale inizia la sua missione pubblica a partire dal momento nel quale il Battista viene messo in carcere. È lì che lo raggiungono i resoconti di ciò che Gesù diceva e faceva e che l’evangelista espone dal capitolo 5 in poi. Le opere del Cristo sono i suoi insegnamenti e le azioni miracolose con le quali guarisce gli infermi e libera gli indemoniati. La domanda che Giovanni pone a Gesù esprime il legittimo desiderio di essere confermato o smentito nelle proprie attese e di quelle del popolo. Non c’è modo migliore per conoscere e riconoscere la verità se non quello di interrogare il diretto interessato per non rimanere vittima delle proprie congetture che possono diventare un labirinto mentale.

Il Battista non è incredulo ma è in ricerca e, come tale, interroga non per mettere alla prova Gesù, come invece avrebbero fatto i capi del Sinedrio, ma attendendo fiducioso una parola che poteva illuminare la sua speranza. Quella del Battista non è una domanda retorica, ma un quesito del quale si aspetta una risposta. In definitiva, sono proprio le opere di Gesù, creduto il Cristo, che suscitano l’interrogativo riguardante la sua identità. Più che soddisfare una curiosità la domanda pone la questione della relazione tra Gesù e la gente e la missione che egli intende realizzare.

Gesù affida la risposta ai discepoli del Battista i quali altro non devono fare che riferire ciò che odono con le loro orecchie e vedono con i loro occhi. Essi sono invitati ad essere i testimoni del fatto che la promessa di Dio si realizza nelle vicende storiche degli uomini, soprattutto dei più deboli, i privilegiati di Dio. Non si può essere autentici testimoni se non ci si mette dalla parte dei poveri assumendo il loro punto di vista e imparando da loro cosa significhi credere. I ciechi, i paralitici, i sordi guariti, i lebbrosi purificati, i morti rianimati sono i testimoni della forza di Dio e attestano che Gesù è il Cristo.

Dai racconti dei capitoli 8 e 9 si evince che il miracolo è compiuto grazie alla fede dei piccoli, ma anche che le guarigioni sono l’occasione perché nasca la fede. L’invito ad ascoltare e vedere con fede diventa missione: «Andate e riferite». I testimoni sono tali perché hanno il compito di narrare, non di emettere sentenze. La Parola di Dio si rivela negli eventi che vanno raccontati più che analizzati. Il narratore è colui che portava avanti la Tradizione della Parola perché essa risuoni di generazione in generazione. Chi rinuncia al giudizio, che crea distanza tra l’evento e chi lo giudica, e accoglie la parola, che lo educa a narrare narrandosi, è veramente beato perché non inciampa nel pregiudizio ma si lascia illuminare dalla verità che cerca e che gli va incontro.

Gesù poi si rivolge alla folla interrogandola sulle loro attese e sulle motivazioni per cui sono andati da Giovanni? La triplice domanda: «Cosa siete andati a vedere?» provoca i discepoli alla riflessione su sé stessi. Anche in questo caso non ci si deve giudicare o semplicemente analizzare, ma si è invitati a dare un nome alle proprie attese e confrontarle con la realtà. Cosa cerca il cuore? Meglio, chi cerca? L’immagine della canna sbattuta dal vento e l’uomo dagli abiti sontuosi sono figure che si trovano agli antipodi come lo è la miseria e la ricchezza, l’essere servo e l’essere padrone.

Stanchi di una vita vissuta con ritmi stressanti desideriamo la solitudine del deserto, oppure mai paghi di quello che abbiamo accarezziamo l’intima ambizione di avere sempre di più. L’una e l’altra ricerca trovano la loro origine nella carne. Solo chi si lascia guidare dalla voce dello Spirito non desidera né l’isolamento né il raggiungimento di standard di vita elevati, ma cerca chi lo possa aiutare a incontrare il Signore, il bene, ogni bene, tutto il bene.

Giovanni è più che un profeta perché non solo con la sua parola ha disposto i cuori dei suoi discepoli ad accogliere il Messia, ma con il suo martirio ha reso intelligibile a Gesù la via sulla quale il Padre lo chiamava a compiere la sua volontà. Gesù riconosce la ineguagliabile statura morale del Battista la quale, però, a confronto con quella spirituale di Gesù, il più piccolo nel regno dei cieli, risulta essere inferiore. La piccolezza nel regno dei cieli non si misura secondo i parametri sociali ma con quelli divini. Si è piccoli per scelta perché si opta di essere servi e non padroni. Le opere del Cristo sono lette dall’evangelista Matteo alla luce di due oracoli di Isaia che parlano del Servo di Jahve.

Nel primo si evidenzia che Gesù opera esorcismi e guarigioni con la potenza della sua parola la cui efficacia è dovuta all’empatia del suo cuore. Egli non offre una prestazione ma opera un servizio perché la compassione lo spinge a coinvolgersi nelle vicende storiche degli uomini facendosi carico del loro peso drammatico (cf. Mt 8,16-17). La seconda citazione di compimento che riguarda Gesù è in Mt 12, 15-21. In questa pericope l’evangelista Matteo sottolinea che la missione di Gesù è riconducibile alla volontà di Dio che lo ha scelto, consacrato e inviato non per distruggere ma per convertire il mondo alla giustizia.

Gesù è quel servo di Dio che viene non con l’arroganza dei sedicenti giusti ma con l’umiltà di chi si fa solidale con i fratelli portando con loro i pesi della vita. Egli viene non con l’aggressività del castigatore dei costumi, pronto a puntare l’indice accusatore, ma con la mitezza di chi preferisce coltivare i piccoli germogli di speranza piuttosto che troncare la relazione usando la violenza del giustiziere.

Meditatio

La pagina del vangelo di questa domenica si articola attorno a due domande. Nella prima Giovanni il Battista vorrebbe interloquire con Gesù per comprendere meglio chi sia veramente e nella seconda lo stesso Gesù offre ai discepoli la possibilità di riflettere sulla missione del profeta e verificare il motivo profondo per il quale essi lo avevano cercato. La risposta all’una e all’altra domanda sta nel modo di vivere e di operare sia di Gesù che di Giovanni.

Il dubbio del Battista non contraddice la sua fede ma è parte integrante del processo di maturazione ed elemento importante nel discernimento. L’interrogativo del profeta porta in sé l’eco della preghiera di chi non comprende il senso degli eventi, soprattutto quelli più drammatici, e chiede conto a Dio del suo operato. Gesù rinuncia ad una risposta diretta per far parlare le opere che fa o, meglio, lascia lo spazio a coloro che beneficiano della sua azione taumaturgica.

Le opere del Cristo sono opere di misericordia e rivelano la sua origine divina. I primi destinatari dell’azione salvifica di Dio sono gli ultimi, gli esclusi, quelli che tutti considerano falliti e lo scarto della società. La missione di Gesù parte dalla periferia dove abitano quelli che camminano nelle tenebre, brancolano nel buio perché sono disperse come pecore che non hanno pastore. Il Messia viene facendosi ultimo tra gli ultimi, povero tra i poveri perché egli è l’Emmanuele, il Dio con noi. Non si arrampica per fare una scalata sociale o politica e accaparrarsi il potere ma scende nei bassifondi dell’umanità per portare il Vangelo che la risana, la riscatta e la ricrea. La gloria di Dio risiede nel potere dell’amore che restituisce all’uomo peccatore l’immagine divina ristabilendolo nella condizione di figlio di Dio.

Tutti hanno potuto constatare che Giovanni non era manipolabile e non era come i profeti di corte che, per guadagnarsi il pane, erano accondiscendenti e conniventi. Il Battista non seguiva il vento delle mode o assecondava le tendenze dei potenti di turno, perché non era opportunista. Tuttavia, proprio perché profeta aveva riconosciuto il tempo della salvezza e il compimento delle attese. Similmente Gesù si pone a servizio degli ultimi e non dei potenti desideroso di lasciarsi rivestire della gloria di Dio e non cingere corone regali corruttibili.

Egli ci mostra la via della salvezza e ci accompagna nel cammino della vita perché possiamo maturare nella fede e testimoniare con la vita la carità di Cristo.

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna