don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 11 Aprile 2020

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Sabato Santo, tempo della solidarietà di Dio e dell’annuncio del Vangelo che trasforma il fondo dell’inferno in inizio del cammino di vita nuova – Sabato Santo

I racconti della passione, che con tanta dovizia di particolari descrivono le ultime ore della vita terrena di Gesù, si fermano tutti davanti alla tomba scavata nella roccia nella quale Gesù viene sepolto. Poi cala il silenzio su un intero giorno, il sabato. Il silenzio narrativo traduce il significato del termine shabbat che richiama l’atto del fermarsi, mettere un limite. Potremmo pensare subito alla morte come quel limite massimo oltre il quale nessuno può andare, infatti tutti, morendo, si fermano. Quando il cuore di ferma, tutto il corpo si ferma. Eppure, nella predicazione della chiesa primitiva ci si è domandati quale sia il messaggio che questo silenzio offre. San Pietro nella sua Prima Lettera esortando i cristiani a perseverare nel bene anche in mezzo alle sofferenze causate da chi li calunnia e li condanna, invita a guardare a Cristo il quale: «è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere» (3, 18-20). Poco più oltre chiarisce di quale annuncio si parla e chi sono i destinatari: «Anche ai morti è stata annunciata la buona novella, affinché siano condannati, come tutti gli uomini, nel corpo, ma vivano secondo Dio nello Spirito» (4,6). A partire da questo accenno di San Pietro che parla di morti come di anime in carcere la Chiesa nella formulazione del simbolo di fede tra la sepoltura e la risurrezione ha inserito la discesa agli inferi. Il termine inferi, indica l’ebraico sheol immaginato come il luogo ultimo del cammino esistenziale dell’uomo. Nell’ Antico Testamento lo sheol è il luogo delle tenebre o delle ombre, cioè di chi non ha più una identità perché non ha più alcuna relazione con Dio, con gli altri e tra i morti stessi. Si tratta dunque dell’esperienza dell’assenza di ogni forma di comunicazione e dunque della solitudine assoluta. Gli inferi sono immaginati come un abisso, una fossa da cui l’uomo con le sue forze non può risalire. Infatti, in ebraico i morti che giacciono nello sheol sono chiamati «i senza forza». San Pietro accenna agli inferi come ad un carcere nel quale sono detenuti i morti i quali scontano la pena per il loro peccato. Nel testo biblico non si parla tanto del discendere, alimentando l’idea di un movimento di luogo da parte di Gesù, quanto invece di un andare verso i morti. La formulazione del credo potrebbe trarci in inganno: Gesù non scende all’inferno, come se questo fosse un luogo che si raggiunge con la morte dopo la vita sulla terra. Pietro parla di un andare verso i morti chiarendo l’affermazione precedente secondo la quale «Gesù è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti». Comprendiamo allora che il cammino della Croce, attraverso cui il Padre dona agli uomini suo Figlio e Gesù stesso dona la sua vita per tutti gli uomini, rende Dio prossimo e solidale ad ogni uomo. Gesù entrando nel sepolcro entra nella morte come ogni uomo. 

Nel suo regno la morte impone la sua legge su tutti quelli che vi entrano: d’ora in poi sei mio, solo mio! La morte è avida e trattiene ciò che possiede senza possibilità di lasciare andare. Nello stato della morte si vive una passività assoluta, non si può tornare indietro. Entrando nella morte, Gesù si associa a tutti coloro che sono sotto la legge della morte. 

Il silenzio del sepolcro non segna la fine della sofferenza di Gesù. Spirando sono terminate le sofferenze del corpo, ma andando verso i morti egli assume anche la sofferenza dell’anima. Essa è la solitudine, la incomunicabilità, l’assoluta passività a cui condanna il peccato. Negli inferi Gesù scende nell’abisso dell’uomo in cui risiede il peccato, il signore della morte. In ultima analisi, il peccato è l’assenza di speranza. Quando si rifiuta la speranza ci si chiude nel carcere della morte. Senza speranza non c’è ragione per comunicare con gli altri e comunicarsi agli altri. La prossimità di Dio all’uomo tocca il suo punto massimo nella condizione di massima distanza. 

San Pietro dice che Gesù andando verso i morti non fa nulla se non annunciare, cioè entrare in comunicazione, portare la Parola di Dio. La Passione di Dio diventa compassione per gli uomini i quali sono liberati dalle loro passioni ingannatrici, che incarcerano nella tristezza e nella solitudine, per vivere la compassione. La compassione è la potenza di Dio, quella che è capace di sovvertire le sorti dell’uomo e renderlo non più schiavo della morte, delle sue passioni e del suo peccato, ma libero. I morti vengono evangelizzati, ai prigionieri condannati alla pena eterna è donato il Vangelo, l’Amore di Dio che con la sua potenza spodesta la morte dal suo trono e apre le porte del carcere. Gesù annuncia il vangelo, proclama la liberazione dei prigionieri, ridona la luce della speranza a chi era immerso nelle tenebre del peccato e nell’ombra di morte. Alla morte le è stata tolta l’ultima parola sulla vita, lei che affermava: fine pena, mai!

Il peccato è il fondo del mare melmoso e oscuro; l’uomo che vi cade sotto il peso della colpa rimane inghiottito dalle acque e sprofonda. Gesù, morendo sulla croce, tocca con l’uomo il fondo, sente tutto il dramma della solitudine del peccato e la lontananza abissale da Dio. Portando il vangelo trasforma il fondo del mare in via di liberazione, come il popolo d’Israele attraversò il mar Rosso camminando sul fondo diventato terra ferma. 

La solidarietà di Dio con l’uomo trova il suo vertice nell’offerta del vangelo, cioè della legge che Dio dà a sé stesso: vivere per l’altro. La morte afferma: tu sei mio, solo mio e non ti lascerò andare mai. Dio invece, ama l’uomo fino al punto di non trattenere per sé suo Figlio, ma di darlo. Il Dono del Padre si rivela nella croce di Gesù che muore giusto per gli ingiusti. Il dono di Dio è per tutti. Andare verso i morti significa rendere universale l’opera della redenzione. Tutti moriamo e tutti siamo destinatari dell’amore di Dio, a prescindere dai nostri meriti o dalle opere di giustizia. Toccando il fondo del peccato, Dio ha raggiunto ogni uomo e il vangelo di Gesù, annuncio della riconciliazione col Padre, comunica che nessun uomo può più disperare, perché tutti sono amati da Dio e ricondotti a Lui sulla via della pace. 

Auguro a tutti un sereno Sabato Santo e vi benedico di cuore!  Â