don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 10 Settembre 2023

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La fratellanza, un bene irrinunciabile

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) – Lectio divina

Dal libro del profeta Ezechièle Ez 33,1.7-9

Se tu non parli al malvagio, della sua morte domanderò conto a te.

Mi fu rivolta questa parola del Signore:

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«O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.

Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te.

Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».

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Il profeta sentinella

La figura della sentinella rivela la missione del profeta che, ponendosi al livello del punto di vista di Dio, è chiamato ad avvertire del pericolo gli abitanti della città. Su di essi incombe la minaccia delle conseguenze del loro peccato. La volontà di Dio è che anche chi pecca e sta per morire possa salvarsi, convertendosi alla vita. Quella del profeta non è una minaccia ma un avvertimento per scuotere le coscienze e riportarle all’ascolto della Parola di Dio per seguire le sue vie.

Il destino dell’uomo non è la rovina ma la vita. Egli stesso è artefice del suo destino o del suo fallimento nella misura in cui dà credito alla voce del profeta o la rifiuta. Il profeta non deve temere il rifiuto e la persecuzione ma deve mettere al centro del suo interesse la volontà di Dio e, dunque la salvezza, degli uomini. Il destino del profeta è legato a quello del suo popolo, per cui se attraverso la sua missione qualcuno si salva, anch’egli si salva; ma se si tira indietro per paura o accidia anch’egli diviene vittima della rovina riservata a chi è rimasto indifferente ai richiami del Signore.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 13,8-10

Pienezza della Legge è la carità.

Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge.

Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».

La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

Il principio Carità fraterna

«Ama e fa quello che vuoi»: quest’affermazione di sant’Agostino può essere un commento al brano della lettera ai Romani nella quale l’apostolo Paolo indica nella carità fraterna il principio di discernimento per ogni scelta morale. È buono tutto ciò che è per il bene comune del fratello o sorella e della comunità intera. Chi ama, come Dio lo ama, non sbaglia mai ma realizza la volontà di Dio e ne diviene suo collaboratore nell’opera della salvezza.  

+ Dal Vangelo secondo Mt 18,15-20

Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

« 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”.».

Lectio

Contesto

I brani evangelici di questa e della prossima domenica sono tratti dal quarto grande discorso di Matteo chiamato discorso ecclesiale (18, 1-35) che è composto da tre parti: vv. 1-10 (i «piccoli» della comunità), vv. (11)12-20 (la gestione dei conflitti nella comunità), vv. 21-35 (il perdono nella comunità). La prima e la terza parte hanno in comune il fatto che iniziano con una domanda che i discepoli rivolgono a Gesù e la sua risposta che culmina con un’affermazione che chiama in causa il Padre. La seconda parte e la terza invece sono accomunate dalla parabola che è contenuta in ciascuna di esse.

Ci sono alcuni punti di contatto tra il discorso ecclesiale e quello missionario (9,35-10-42): i «piccoli», l’accoglienza e il rifiuto, l’esperienza del «nome» di Gesù, le prove dei discepoli e i processi a cui vengono sottoposti, il codice domestico e familiare, la compassione (ciò che muove Gesù all’azione missionaria in 9,36 e il sentimento del padrone dell’ultima parabola in 18,27).

Struttura

Il brano del vangelo di questa domenica è tratto dalla seconda parte del discorso ecclesiale che inizia al v. 12 nel quale Gesù interroga i discepoli a partire da una parabola il protagonista è il pastore di cento pecore che va in cerca di quella che si è persa finché non la trova e la riporta pieno di gioia all’ovile. La parabola funge da sostegno alla rivelazione circa la volontà del Padre di non lasciar perdere nessuno dei «piccoli». A questa volontà devono conformarsi i discepoli, i quali devono coltivare le relazioni con tutti, in particolare con gli altri discepoli che si sono persi e allontanati. Questo avviene in tre modi: la correzione fraterna (vv. 15-17), l’esercizio del potere di «legare e sciogliere» (v. 18) e la preghiera d’intercessione (vv. 19-20). Il filo conduttore di questa parte del discorso ecclesiale è la responsabilità nei confronti degli altri, soprattutto i più piccoli, da parte di tutta la Chiesa.

vv. 15-17 – 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità (chiesa); e se non ascolterà neanche la comunità (chiesa), sia per te come il pagano e il pubblicano.

La comunità cristiana non è composta da perfetti ma da peccatori. La Chiesa costantemente si misura con il peccato dei suoi membri ed è chiamata ad esercitare la responsabilità recuperando chi si è macchiato di un peccato grave. Ogni cristiano si sente chiamato in causa dal peccato del fratello verso il quale non può assumere un atteggiamento indifferente ma con discrezione deve andargli incontro e farsi prossimo. Secondo Lv 19,17 la correzione, o l’ammonimento, è un modo per rinunciare all’odio e alla vendetta nei confronti di chi pecca. Al contrario, andandogli incontro gli manifesta compassione e comprensione. Il fine della correzione è rendere consapevole il peccatore della colpa commessa e della sua gravità.

Nel caso di resistenza opposta dal peccatore, la strategia indicata suggerisce la gradualità. Quanto più ostinata è reazione del peccatore tanto più ampio deve essere il coinvolgimento dei fratelli di comunità per convincere il peccatore a tornare sui suoi passi. Tanto più si isola tanto più l’intervento è corale. Nel caso in cui ogni sforzo della chiesa si riveli infruttuoso nel recuperare il discepolo peccatore, egli non deve essere abbandonato a sé stesso ma verso di lui bisogna nutrire gli stessi sentimenti di Gesù verso i pagani e gli esattori delle tasse. Da una parte Gesù non ha cercato queste categorie di persone ma, incontrandole, le ha accolte senza pregiudizi riconoscendo in loro ciò per cui stimarle; e, a partire da questo, ha costruito un dialogo o una relazione con loro.

In questo senso non ha alcun fondamento scritturistico l’interpretazione della conclusione del v. 17 che parrebbe giustificare una qualche forma di espulsione o scomunica, intesa come allontanamento. La testimonianza della Didaché aiuta a comprendere il senso più giusto di questa frase: «Correggetevi a vicenda non nell’ira, ma nella pace, come avete nel vangelo; e a chiunque abbia offeso il prossimo nessuno parli, né sia ascoltato da voi finché non abbia cambiato mentalità» (15,3). La misericordia si coniuga con la disciplina che contempla anche la punizione. Essa ha sempre una finalità educativa perché faccia sperimentare le conseguenze nefaste del peccato che incrina le relazioni tra le persone rendendole non comunicanti tra loro. La non comunicazione o la cattiva comunicazione rivela ma non comunione o una cattiva comunione.

v. 18-20 – 18In verità («Amen») io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. 19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”».

Dopo le indicazioni che riguardano la gestione del conflitto tra la comunità e chi si macchia di un peccato grave, Gesù conferisce solennemente l’autorità alla Chiesa. Infatti, l’«amen» introduce le due frasi successive con le quali si specifica il modo con il quale la comunità deve esercitare il suo potere conformemente alla volontà del Padre.

L’endiadi «legare e sciogliere», che in 16,9 era attribuito al solo Pietro, qui invece è una caratteristica della comunità che agisce con un cuore solo e un’anima sola. Infatti, la comunione all’interno della comunità, alimentata dalla preghiera comunitaria, diventa sorgente ispiratrice delle azioni finalizzate alla pace e alla riconciliazione. La liturgia celebrata nella Chiesa diventa il luogo teologico nel quale Dio si rende presente e la comunità trova l’armonia necessaria per affrontare con serenità i conflitti al suo interno. La liturgia stabilisce innanzitutto la comunione della Chiesa con il suo Signore il quale comunica ad ogni membro della comunità la forza per vivere la carità della responsabilità comune e la corresponsabilità ecclesiale.

La chiesa prima che essere uno spazio fisico e una struttura è una realtà viva e dinamica come il corpo abitato dall’anima. Dov’è carità e amore lì c’è Dio.

Meditatio

La fratellanza, un bene irrinunciabile

La figura della sentinella è l’immagine centrale della pagina del profeta Ezechiele proposta nella liturgia come prima lettura. La missione del profeta è simile a quella della sentinella che vigila per avvertire del pericolo e permettere alla popolazione di mettersi al riparo e organizzare la difesa in modo da scampare alla morte. Domenica scorsa abbiamo ascoltato nel vangelo che Pietro si oppone alla prospettiva della sofferenza e della morte avanzata da Gesù. L’apostolo si dimostra immaturo nella fede perché preferisce seguire i ragionamenti degli uomini piuttosto che il pensiero di Dio. Pietro ha confuso la rivelazione della scelta di amore con l’avvertimento di un pericolo. In verità nel primo annuncio della Pasqua c’è l’uno e l’altro. Da una parte la sofferenza e la morte di Gesù, come quella di ogni innocente, è causata dal peccato che rappresenta il vero pericolo per l’uomo, dall’altra l’offerta della propria vita per amore a tutti, anche per i nemici, è il modo per scampare alla morte.

Gesù è il modello della sentinella di Dio perché, ascoltando la Sua parola, la trasmette al popolo e con essa la salvezza. La sentinella è in mezzo al popolo ma anche in alto per guardare dalla prospettiva di Dio, l’unico che conosce veramente il bene e il male, ciò che conduce alla vita e quello che causa la morte. Dall’alto della croce, ovvero dalla profondità dell’amore di Dio che abita in mezzo agli uomini, si eleva la voce che invita alla conversione per vivere.

Nella pagina del vangelo odierno Gesù traccia il percorso attraverso il quale il discepolo-sentinella si fa compagno di strada nell’itinerario di conversione e di rinascita dei propri fratelli. La correzione non è mai un’operazione piacevole e facile perché richiede la disponibilità alla mortificazione di tutto ciò che si oppone ad un vero cambiamento. Chi corregge è chiamato lui per primo a cambiare il modo di vedere sé stesso e gli altri assumendo lo stesso sguardo di Dio, che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. In particolare, sono due le resistenze alla missione profetica nella quale portare davanti agli uomini la parola di Dio che salva: l’orgoglio autoreferenziale e l’accidia. Entrambi gli ostacoli inducono a non schierarsi dalla parte di Dio e, dunque in favore dei fratelli, ma a scegliere la via comoda dell’omertà per curare i propri interessi. Colui che non ha a cuore la sorte dei suoi fratelli ma è orgogliosamente autocentrato non sta zitto ma si erge a condottiero di cause che mirano a screditare gli altri per far emergere sé stesso. Facile confondere il ruolo della sentinella che avverte con la funzione del giudice che emette la sentenza di condanna. Davanti al peccato che minaccia l’uomo il cristiano non deve tacere per paura di farsi dei nemici ma non deve neanche snaturare l’annuncio del vangelo trasformandolo in giudizio di rimprovero contro tutto e tutti.

Dalla Croce Gesù, annunciando l’amore di Dio che dà vita, denuncia anche il dramma del peccato che porta alla morte. Egli, profeta-sentinella di Dio, giudice dei vivi e dei morti, non punta il dito per condannare ma stende la mano per offrire la possibilità di intraprendere con Lui un cammino di conversione e di rinascita.

Il primo passo di questo cammino di conversione lo fa Dio stesso che in Gesù ci viene incontro per abbracciarci e riconfermarci nel suo amore. Il suo desiderio d’incontrarci rivela che al centro della sua attenzione c’è la singola persona, nel suo originale e insostituibile valore, prima ancora che le sue opere buone o quelle malvage.

Siamo chiamati a essere costruttori di comunione, cioè accompagnatori sulla strada della riconciliazione con Dio, animatori di una comunità al cui centro non c’è l’interesse del singolo, ma la relazione d’amore con il Signore come i raggi di una ruota che uniscono i punti della sua circonferenza a quello centrale.

La comunione che costruisce la comunità è il vero bene da perseguire mentre il male assoluto è l’egoismo che ci fa ripiegare su noi stessi alla ricerca del semplice benessere individuale.

Bisogna essere canali attraverso cui viene comunicato l’amore di Dio, la mano tesa per guarire, consolare, confortare. I quotidiani gesti di carità costruiscono la strada che permette il collegamento dal cuore di Dio a quello dell’uomo.

Quando gli sforzi umani messi in campo per la ricomposizione dei dissidi rivelano la loro inefficacia e permangono gli ostacoli sulla via della riconciliazione e le distanze rimangono incolmabili, Gesù invita a pregare insieme perché la vita di ciascuno, messa in crisi dal conflitto, sia ricentrata in Lui. Un conflitto non sanato con la riappacificazione rimane una ferita aperta. L’unica terapia è la preghiera che riporta al centro della vita di ciascuno la Parola di Dio. Fin quando si colpevolizza o ci si colpevolizza agendo da giudici con la vana pretesa di ristabilire il diritto e la giustizia, non potrà mai esserci vera comunione e riconciliazione. La preghiera, soprattutto quella comunitaria, opera un cambiamento interiore grazie al quale i torti ricevuti e gli errori commessi dagli altri a nostro discapito non sono motivo di condanna, ma ragione per amare colui che è distante da noi per modo di pensare e di agire. La preghiera ci aiuta a svincolarci dalla relazione possessiva con gli altri, ad uscire dal labirinto delle fissazioni vittimistiche, a relativizzare i diritti negati per sintonizzarci con quella di Gesù sulla croce. La nostra preghiera non reclama vendetta, ma con Gesù intercediamo per la salvezza dei peccatori invocando per noi e per loro il perdono.

I passi della riconciliazione verso la comunione

Una probabile radice dei termini comunione e comunità è «cum-munus», cioè responsabilità condivisa. Gesù partecipa a tutti la missione che aveva anticipato a Pietro: «Tutto ciò che legherete sulla terra sa legato in cielo e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo». Il recupero del fratello perduto non è solo un dovere morale ma è compartecipazione all’opera di Dio, il quale gioisce per la misericordia più che per i sacrifici. 

L’esercizio della misericordia consiste nel fare ogni passo possibile perché possa compiersi la volontà di Dio: «Che nessuno di questi piccoli si perda» (Mt 18, 14). Ogni uomo è un fratello più piccolo da recuperare soprattutto quello che per sua colpa ha compromesso la comunione con gli altri. Come Dio con discrezione interviene nella coscienza di ciascuno con «la carezza dello Spirito», così il discepolo di Cristo con delicatezza compie il primo passo verso il suo fratello avversario per avvertirlo dell’errore. È importante innanzitutto il dialogo a tu per tu perché chi corregge non deve preoccuparsi di difendere la sua dignità agli occhi degli altri, ma, sentendosi responsabile della vita del fratello, si prende cura di lui ferito dalla sua condotta. 

Si esercita la forma più alta della carità quando agiamo spinti dal cuore che sente compassione per il fratello che ha sbagliato e compiamo ogni passo possibile per realizzare la comunione con lui. Caino, per giustificare l’omicidio di Abele, dice: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gn 4,9). Davanti al fratello, colpevole nei nostri confronti, siamo naturalmente tentati di mutare la rabbia, la gelosia, l’invidia o il pregiudizio che precede la sua colpa, in giudizio di condanna. La correzione fraterna, fatta con garbo e rispetto, quella che non persegue l’umiliazione dell’altro ma il recupero della relazione con lui, è il modo più efficace di incanalare nel dialogo le forze interiori agitate. Non si tratta di regolare i conti ma di guadagnare il fratello e riconquistare la comunione con lui.

Chi si allontana a causa di un dissidio provoca nella comunità una perdita che impoverisce tutti i suoi membri. Al contrario un fratello recuperato alla comunione arricchisce e rinforza tutta la comunità.  

A volte l’impegno personale non basta e allora bisogna vivere ancora un’altra forma di comunione che coinvolge anche gli altri fratelli della comunità. Più grande è la colpa, più ampia è la rete di aiuto fraterno nel quale il reo viene inserito e maggiore deve essere la compassione che non si arrende davanti a nessun rifiuto, che non torna indietro davanti ad alcun muro. Alla persistenza del peccato la comunità risponde con la perseveranza e la concordia della preghiera.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna