La fede, cammino della vita, tra consolazioni e prove
V DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)
At 6,1-7 Sal 32 1Pt 2,4-9 + Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,1-12)
La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, descrive un tempo che, per la prima comunità cristiana di Gerusalemme, è di grazia e al contempo di crisi. Da una parte Dio aggiunge alla comunità nuovi credenti, ma dall’altra sorgono malumori e mormorazioni. Quanto più numerosa, diversa e composita è una comunità tanto più frequenti sono le occasioni di scontro e la convivenza di persone diverse tra loro è difficile da gestire. Il conflitto, come quello creatosi a Gerusalemme tra «quelli di lingua greca» e «quelli di lingua ebraica», si risolve solo se si abbandona l’idea che l’altro debba parlare la propria lingua e insieme si ha l’umiltà di imparare il linguaggio comune dell’amore. In questo modo non si concepisce la propria opera come una semplice funzione da espletare ma come un servizio d’amore. I problemi, e le crisi che ne conseguono, sono inevitabili, ma si possono affrontare e risolvere avendo lo sguardo fisso su Gesù e in ascolto dello Spirito.
In tal modo non ci si lascia prendere dall’ansia della prestazione e dalla tentazione di misurare la bontà della propria opera dal gradimento riscosso o dalla mancanza di critiche e opposizioni. Chi si lascia prendere dalla paura del fallimento o entra in crisi per il calo di consensi più facilmente perde di vista lo scopo della propria missione. Pietro invece ascolta ed elabora i malumori e le critiche, non per lacerarsi in vittimistici complessi di colpa, ma per trovare strade nuove per venire incontro alle esigenze dei poveri, conciliare gli animi agitati e rimanere fedeli alla missione apostolica di pregare e annunciare il Vangelo. La soluzione si trova nel lasciarsi guidare dallo Spirito che arricchisce la chiesa di altri ministeri e servizi per il raggiungimento dello stesso fine. La gestione delle mense è un servizio prezioso che la chiesa ha curato da sempre perché avere attenzione alle persone significa prendersi cura soprattutto dei poveri e dei loro bisogni. Le opere di carità fraterna nella Chiesa rendono visibile il volto di Dio-Misericordia che si piega sulle ferite dell’umanità per curarle.
Questa vicenda delle origini della Chiesa conforta anche oggi noi discepoli di Gesù che pur facendo il bene siamo il bersaglio di mormorazioni, discussioni, illazioni. Chi fa opere di bene, chi fa sacrifici e s’impegna per gli altri si espone più facilmente alle critiche, alle accuse o ai giudizi sommari e spesso deve fare i conti con la rabbia e il malumore della gente. Queste sono esperienze che inevitabilmente segnano il cuore di chiunque, ma in particolare colpiscono chi ha intrapreso la via della fede e cerchi di tradurla in servizio di carità.
«Non sia turbato il vostro cuore», dice Gesù a chi è scosso dalla delusione e dalla paura. Queste parole le possiamo sentire rivolte a ciascuno di noi perché chi non ha fatto esperienza della fiducia tradita, delle aspettative deluse, del fallimento di progetti, dei cambiamenti di programmi, di capovolgimenti delle situazioni economiche, della perdita di persone care o della propria salute? Le ferite possono essere molto profonde quanto le lacerazioni provocate dai contrasti e dalla distanza affettiva che si viene a creare. In queste situazioni più nitidamente emergono le nostre strutturali fragilità e debolezze, soprattutto quelle legate al cuore luogo ideale dei desideri, dei progetti e della volontà. Per quanto possiamo essere volitivi e determinati, ambiziosi e caparbi, alla prova dei fatti le opere di bene che rendono bella la nostra vita, non possono poggiarsi sul terreno friabile della nostra umanità. Da qui l’esortazione di Gesù: «Abbiate fede in Dio e … in me, … credete in me».
La fede non è un pacchetto di verità che si apprendono da un libro ma è un viaggio, è il cammino della Pasqua. La fede è la risposta del cristiano al dolore. Se la paura blocca, la fede mette in cammino per andare incontro al Signore che viene seguendo le sue orme e imitando il suo esempio. La fede non si poggia sulle nostre forze ma solamente sulla parola di Gesù che ci consola indicando la meta del comune viaggio della vita: il Padre. È lì che approda la vita di ciascun uomo. Gesù non indica solo la meta ma ha mostrato anche la via per raggiungerla.
Scorrendo tutti gli incontri di Gesù, narrati nei primi 12 capitoli del vangelo di Giovanni, ci rendiamo conto che ciascun personaggio o situazione rivela qualcosa della fatica nel riconoscere, nell’intraprendere e nel rimanere sul cammino della fede. Il tema della crisi attraversa tutta la prima parte del racconto che idealmente prende le mosse dall’invito di Gesù rivolto ai primi due discepoli: «Venite e vedete». Si parte dalla mancanza di vino in una festa di nozze, per poi passare alla malattia che minaccia la vita del figlio del funzionario del re, quindi ai dubbi di Nicodemo, alla solitudine della Samaritana, alla rassegnazione del paralitico, all’invadenza e al tentativo di strumentalizzazione ad opera della folla che era stata sfamata, al giudizio che pende sull’adultera, al pregiudizio e alla persecuzione che colpisce il cieco nato, per concludere con la morte dell’amico Lazzaro. Sono tutte situazioni in cui il cuore è turbato ma nelle quali s’incontra Gesù. Tommaso e Filippo, intervenendo con le loro obiezioni, rappresentano tutti i discepoli che, pur stando con Gesù da tanto tempo, devono ammettere di non conoscerlo ancora per quello che è veramente. Le domande e i dubbi di fede non sono il segno di una fede debole, ma di una fede in cammino. Chi si arrende non fa più domande perché non cerca più nulla. Anche nella notte del dolore, quando la speranza è ridotta al lumicino e ci sentiamo persi, bisogna ricordare, cioè portare al cuore, le parole di Gesù: «Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi».
Pietro dice che nella sofferenza c’è chi inciampa e si ferma nel suo cammino di fede perché il dolore lo scandalizza e non lo accetta. L’ostacolo più grande alla fede è legarsi ad una mentalità materialista per la quale non c’è futuro oltre la croce, come se la vita ha senso solamente all’interno dell’orizzonte terreno.
La sofferenza ci permette di verificare la staticità della nostra fede. Se essa si poggiasse sulle sole speranze terrene la nostra vita, come un ponte, non reggerebbe al peso della prova. Gesù è il ponte sul quale camminare per attraversare le crisi, perché esse possono essere una grande occasione di progresso e di rinascita. Viaggiando con Gesù impariamo a conoscere noi stessi, vedendo i nostri limiti, le nostre fragilità, i nostri fallimenti come i momenti in cui Gesù si fa prossimo per prenderci con Lui e tirarci fuori dalle sabbie mobili dei sensi di colpa e delle colpevolizzazioni. Nella tristezza, povertà, miseria del peccato, nel fango, nel carcere, nel letto del dolore, Lui viene a visitarci mostrandoci il volto del Padre misericordioso. Egli non solo si fa vicino ma ci prende per mano e ci guida tra le consolazioni di Dio e le desolazioni del mondo sulla via dell’amore che conduce alla vita. Gesù è la via attraverso la quale Dio si fa prossimo e diventa uno di noi ed è l’unica strada percorrendo la quale noi possiamo giungere alla vera meta del nostro pellegrinaggio terreno: vivere amando come Dio ama.
Auguro a tutti una serena domenica e benedico di cuore voi e tutte le mamme!
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]