Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
Eucaristia: vocazione e missione
Dopo le due apparizioni di Gesù nel cenacolo, il primo giorno della settimana e otto giorni dopo, il Risorto si manifesta sul mare di Tiberiade lì dove aveva compiuto il segno della moltiplicazione dei pani. Simon Pietro e altri sei discepoli ritornano a pescare, lavoro che si svolge di notte. La pesca non è per essi un hobby ma ciò che permette loro di mangiare e sopravvivere. Tuttavia, l’attesa è andata delusa perché nessun pesce è entrato nella rete ed essi non sanno di cosa possono saziarsi perché non hanno nulla da mangiare. Anche se non è detto esplicitamente, è facile immaginare lo stato d’animo di quegli uomini sul volto dei quali pesa un velo di tristezza. Tornano a galla le attese deluse, la mancata concretizzazione di progetti, i dubbi sulle scelte fatte, i sensi di colpa per le omissioni o gli errori compiuti.
Appare lontana la riva da cui sono partiti come distante sembra essere il ricordo dell’esperienza fatta con Gesù. Ma lui è proprio lì sulla riva, lui che è il principio da cui tutto ha inizio e il fine a cui tutto tende. Gesù si fa sentire, prima ancora che vedere. Invita a riprovare dando indicazioni precise come se fosse il capo pescatore. Effettivamente Gesù è vivo e presente anche se noi non lo vediamo immersi, come siamo, nella notte del nostro peccato. Obbedirgli anche senza vederlo e riconoscerlo significa dargli credito andando oltre la paura, il pregiudizio e lo scoraggiamento che ci bloccano. La parola di Gesù è una rete che ci tira fuori dal buio del fallimento e dal rischio di identificarci con esso. Con Gesù non esistono più solo i peccatori, ma figlioli ai quali è offerta sempre un’altra possibilità di successo.
Con la loro obbedienza a Gesù i discepoli pescatori ci suggeriscono che la fede, dono dello Spirito Santo dato a tutti dalla croce, è riconoscimento della voce della speranza. Essa non risiede nella propria forza di volontà ma nella parola di chi ci indica un motivo per cercare ciò che il nostro cuore desidera. La fede è ricerca guidati dalla luce della Parola che si fa spazio tra le tenebre interiori. Dal cercare rispondendo semplicemente ai bisogni, propri e altrui, si passa a cercare per trovare e incontrare fratelli da amare. La fede giunge all’esclamazione gioiosa di chi ha finalmente trovato ciò che cercava. Se ragioniamo solo di pancia cercheremo innanzitutto quello che la riempie senza veramente saziarci. Se invece il nostro agire sarà in obbedienza alla parola del Vangelo allora troveremo in Gesù ciò che ci dà la vera pace. Simone, il figlio di Giovanni, conobbe Gesù perché suo fratello Andrea gli aveva detto: «Abbiamo trovato il Messia» e lo aveva condotto da lui. Gesù, dimostrando di conoscerlo, gli cambia il nome e da quel momento diventò Simon Pietro (Gv 1, 40-42). Sul lago di Tiberiade un’altra voce risuona, quella del discepolo amato che annuncia: «È il Signore».
Simon Pietro non è più condotto da una parola che lo incuriosisce ma è attirato da Gesù. Al termine del discorso sul pane di vita, molti abbandonarono Gesù ed egli, rivolgendosi agli apostoli, fece capire che erano liberi di seguire chi era andato via. Simon Pietro disse profeticamente: «Signore, da chi andremo, solo Tu hai parole di vita eterna. E noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,67-69). Il Vangelo, luce nella notte, non è solo un comando da eseguire, ma mettendo in pratica il comandamento dell’amore nel cuore si riaccende la speranza e la gioia d’incontrare il Signore mi spinge, come Pietro, a «gettarmi» nella storia con lo stile del servo, rivestito di dignità e autorevolezza. Non si tratta più di agire seguendo la propria volontà o eseguendo dei comandi ma lasciandosi guidare dalla voce interiore che porta ad andare verso il Signore. Amare non significa innanzitutto fare qualcosa per l’altro ma innanzitutto andargli incontro.
L’approdo è la riva, profezia della vita eterna, il posto nella casa del Padre preparato da Gesù con la sua Pasqua. Nell’eucaristia viviamo, come sulla riva del lago di Tiberiade, l’esperienza della comunione, della partecipazione e della missione. Gesù ha preparato per noi un banchetto e ci invita a prenderne parte offrendo e compartecipando la fatica del nostro lavoro e la gioia della vita fraterna. Accolti da colui che sempre ci attende per stare con noi, siamo invitati ad entrare nell’intimità dell’amore che il nostro cuore cerca. Si crea una vera atmosfera di famiglia in cui non c’è posto per l’ansia del fare le cose o il timore di non essere graditi. I gesti di Gesù sono quelli con i quali ha inaugurato il rito della nuova Pasqua.
Nulla deve impedire a celebrarlo perché quel gesto così semplice ma anche significativo sta lì a ricordare chi siamo per Gesù ma anche chi volgiamo essere nei suoi confronti. Il rito non è un dovere fine a sé stesso ma diventa un’occasione per crescere e rinsaldare i legami d’amore che ci uniscono. Man mano che cresciamo la trama delle relazioni aumentano. Perché la rete, simbolo delle nostre relazioni, non si rompa è necessario che esse siano animate dall’amore di Dio che attingiamo dall’ascolto della sua Parola e dal nutrimento del Pane eucaristico.
Dalla comunione e dalla partecipazione nasce la missione. Essa non può ridursi a strategie pastorali. Solo lo Spirito Santo disegna lo schema della nostra missione. Essa altro non è che la manifestazione del nostro cammino di maturazione umana e spirituale che consiste nella sequela di Gesù. Egli ci educa dal vivere per noi stessi al vivere per gli altri fino ad arrivare al vertice della testimonianza, il martirio. Il pane donato è segno della vita spesa per amore ai fratelli. Il sangue sparso indica il vertice dell’amore che si tocca giungendo al punto di morire per chi si ama. A questa vetta dell’amore non si giunge con la sola forza della volontà ma spinti e attratti dalla forza dello Spirito Santo.
Signore Gesù, che ti fai presente nella notte dei fallimenti in cui vengono a galla i dubbi, le paure, la vergogna, convertimi perché i miei sforzi non rispondano semplicemente al bisogno da soddisfare ma la mia volontà e le mie forze siano orientati dal desiderio di cercare il tuo volto e d’incontrarti per stare con Te. Il tuo Spirito faccia trasalire di gioia il nostro cuore ascoltando la parola del vangelo che annuncia la tua presenza. Liberaci dalle paralisi della rassegnazione e del pessimismo e donaci lo zelo apostolico necessario per immergerci nella storia e attraversare ogni momento animati dall’unico proposito di amarti di più per meglio servirti nei fratelli. Grazie perché sempre ci accogli facendoci sperimentare la tua amorevole premura nell’invitarci a prendere parte al banchetto preparato per noi. Alla scuola dell’eucaristia insegnaci l’arte dell’ascolto e dell’accoglienza, del dialogo e della compartecipazione. Educaci affinché non viviamo per noi stessi, cercando solamente ciò che ci gratifica, ma maturiamo quella fede che ci conduce fino al punto di amare con Te fino alla fine accettando di mortificare la propria volontà per realizzare la tua.