Non si diventa discepoli a forza di volontà, o attraverso atti morali e religiosi, ma dando spazio alla sua opera in noi, o se vogliamo, lasciando che la sua Presenza trasformante, già presente in noi, ci trasfiguri in lui, conducendoci così al nostro pieno compimento.
Perché lui possa essere questa Presenza vivificante, che trasforma servi in discepoli, occorre ‘odiare’ ovvero staccarsi, prendere le distanze da ogni tipo di ‘potere’ capace d’inficiare il nostro vero Sé.
È molto facile infatti che madri, padri, mogli, figli… – simboli delle affezioni di ogni genere – impediscano alla nostra vita di compiersi nella sua verità, impedendoci di godere della libertà sufficiente e necessaria per indirizzarci al compimento della nostra vita. Perché in fondo ‘essere discepoli’ del Cristo, significa accettare di incamminarci verso la nostra piena umanizzazione. Ma quanti legami – scelti o subiti – ci ostacolano in questo compiersi di umanità! E non importa se siano provocati da un filo di seta o da una catena, sempre di legami si tratta.
Gesù insiste molto su questa esigenza di staccarsi da tutto ciò che impedisce di vivere veramente.
In un altro passo del Vangelo (cfr. Lc 9, 58), Gesù invita i suoi ad abbandonare da una parte ‘tane e nidi’ – chiari simboli della figura materna – e quindi ogni protezione e sicurezza, dall’altra il proprio ‘padre’, simbolo di tutte le personalità forti e autoritarie che un po’ per soggezione e un po’ per sudditanza, si è permesso loro di esercitare un potere che di fatto ha impedito a trasformarci in ciò che si era chiamati ad essere.
Finalmente liberati da ogni possibile presenza, pensiero, immagine ‘riempitrici di vuoti’, ci troveremo nella disposizione di essere finalmente ‘assunti’ e immedesimanti dall’unica Presenza. In questo distacco-odio-vuoto, si sarà giunti a frantumare, dissolvere il proprio falso sé, nella consapevolezza che laddove non c’è più l’io, lì c’è Dio.
E qui con ‘vuoto’ non viene inteso l’assenza di qualcosa, ma piuttosto purezza, piena disponibilità all’accoglienza della luce, come un diamante – che certamente non vuoto – è pura possibilità a lasciarsi attraversare dalla luce.
Per cui il discepolo di Cristo, non è mai l’uomo e la donna che han scalato a fatica una meta seppur divina, ma una storia squisitamente umana che nella sua verità-povertà ha accettato di lasciarsi ferire dalla luce, per poi stupirsi di essere stata trasformata nientemeno che in Dio.
don Paolo Squizzato via Facebook
Letture della
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
Dal libro della Sapienza
Sap 9, 13-18
Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 89 (90)
R. Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte. R.
Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca. R.
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi! R.
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. R.
Seconda Lettura
Accoglilo non più come schiavo, ma come fratello carissimo.
Dalla lettera a Filèmone
Fm 9b-10.12-17
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
Parola di Dio
Vangelo
Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14, 25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Parola del Signore