A metà del Vangelo, Gesù mostra dove conduce un cammino eminentemente umano: alla metamorfosi di sé. Se si coltiva l’umano, giungiamo al compimento della nostra persona.
Ciò che viene alla luce con la nostra nascita non è ancora nulla, è tutta ‘potenzialità’, possibilità di compimento. Occorre vivere, e vivere in un certo modo per venire alla luce di sé veramente.
Già nel colloquio notturno con Nicodemo (Gv 3, 3), Gesù espresse la necessità di ‘rinascere dall’alto’, in quanto l’uomo non nasce uomo ma lo diviene ‘rinascendo’ una seconda volta all’umanità, essendo nato una prima volta alla vita. Sebbene alcun uomo abbia potuto decidere di venire alla vita, non è possibile vivere da uomini senza decidere di esserlo.
Sì, occorre decidere di ‘ri-nascere’. E occorre farlo ogni istante; si tratta di una decisione irrinunciabile e improcrastinabile. Pena, rimanere come semplice ghianda, benché all’interno sia inscritta la quercia che avremmo potuto diventare.
Gesù è l’uomo che attraverso la modalità dell’amore, ha potuto costatare in sé questa metamorfosi, questa trasformazione dell’essere che lo condurrà alla fine sulla croce – espressione massima e definitiva dell’amore – e quindi ad essere il Cristo.
Egli per via d’umanizzazione ha portato alle estreme conseguenze il suo essere uomo, tanto da vivere una qualità di vita talmente alta e significativa da vincere anche la morte.
E questo cammino di pienezza, di compimento, di metamorfosi spetta ora a ciascuno di noi. Siamo bruchi che hanno la possibilità di spiccare il volo come farfalle, solo se ne diveniamo consapevoli e viviamo umanizzandoci per via di umanità, ‘amorizzando’ il mondo.
Non è data ‘trasfigurazione’ per chi vive nella distrazione di sé: «L’immortalità è assenza di distrazione» (dalla tradizione indù).
Se intraprendiamo questa via della consapevolezza di ciò che possiamo essere e viviamo radicati nell’amore, lentamente, senza accorgercene, divenute persone umane complete – trasfigurate – ci ritroveremo a vincere anche l’ultimo ostacolo che ci si parerà dinanzi, la morte. Certo, perché la vita come dice S. Paolo, non muore è trasformata (cfr. I Cor 5,51).