don Paolo Squizzato – Commento al Vangelo del 8 Gennaio 2023

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Giovanni il Battista e Gesù. Due uomini così vicini ma così incredibilmente distanti. Distanti nel modo di concepire l’uomo, il destino, Dio.
Giovanni è intriso di una mentalità apocalittica: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione. La scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Mt 3, 7.10). Per lui la chiave interpretativa dell’uomo è il peccato. Per lui l’uomo è essenzialmente sbagliato, macchiato dal male, ma crede anche che attraverso atti meritori il suo Dio potrebbe deporre la falce della punizione e quindi della morte.

Stando ai vangeli, Gesù di Nazareth pare essere molto lontano da questo araldo della giustizia divina. Per Gesù l’uomo non è sbagliato a prescindere, il peccato non è la sua chiave interpretativa, il suo Dio è il Dio dei vivi e non dei morti, e il Regno di Dio è da incarnarsi qui ed ora.

Gesù entra nella morte – l’acqua – anticipo simbolico della sua salita sulla croce, ma non come atto sacrificale, gesto di penitenza o purificazione. Ma come ferma decisione ad entrare nella vita, quella concreta di ogni giorno, convinto che solo lì può compiere la sua lenta fatica ascensionale. E questo attraverso la modalità dell’amore.

Nessun atto sacrificale per la divinità, nessuna purificazione, nessun cammino di conversione per meritarsi il paradiso nella storia del nazareno. Stando ai testi non si dà notizia di un Battista che guarisca gli ammalati, che abbia a cuore i poveri, che distribuisca pane agli affamati… Egli è tutto intento alla sua salvezza, tutto intento al suo Dio, dimenticando però un solo particolare, che ‘la strada più breve per Dio passa per i fratelli’ (Doroteo di Gaza).

Gesù ridà la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, il pane agli affamati, la vita i morti, e il vino – ossia la felicità – alla tavola di due sposi. Solo incarnando uno stile ‘altro’, improntato alla vita buona, il paradiso scende sulla terra: «si aprirono per lui i cieli».

Il paradiso non sarà il premio dei buoni, ma condizione esistenziale qui ed ora per chi s’impegna a incarnare il bene. Non un futuro che ci spetterà un domani, ma un presente da incarnare. E poi la comparsa dello Spirito santo, la forza creatrice, generatrice, la medesima che ‘aleggiava sulle acque’ all’inizio di tutto, come viene raccontato in Genesi. Sì, per chi ama comincia una vera e propria ri-creazione. Comincia una vita nuova: il cattivo passato viene cancellato, e il compimento del proprio essere si va ad affermare.

Lasciamo Giovanni il Battista e tutti i predicatori di tristezza nel loro ambiente più consono, il deserto, e immergiamoci nella vita, per goderci la bellezza di una creazione e ri-creazione sempre nuova.

AUTORE: don Paolo Squizzato

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