Gesù ha distrutto definitivamente la ‘religione’ fondata sul commercio con la divinità, sul baratto del dare e avere, del sacrificarsi per ricevere qualcosa in cambio, perché egli sa che il Dio della vita non gradisce sacrifici ed offerte (cfr. Sal 40, 7) ma se ne può fare esperienza amando.
Gesù fa pulizia dei mercanti che siamo, noi che ci lasciamo ferire dai sensi di colpa perché vediamo trasgrediti gli impegni assunti verso no stessi, quando ci prende la tristezza del dover corrispondere alle attese della divinità e la frustrazione di non sentirsi mai adeguati, puliti dinanzi a un dio severo giudice.
Gesù è venuto a purificare il tempio del nostro cuore dai fantasmi del ‘migliorismo’, del dovere di sentirsi a posto, facendoci comprendere che Dio non vuole servi migliori ma solo figli amati.
A quel punto «molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome» (v. 23).
La fede non si nutre di miracoli, ma piuttosto di ‘segni’.
Il segno indica sempre oltre, è l’indice che indica la luna. Questo è il compito di ogni religione: indicare oltre. Va da sé che innamorarsi del segno è follia; confondere il dito con la luna è stupidità. Fermarsi alle liturgie, ai riti, ai precetti da ottemperare, è accontentarsi dello strumento senza mai crescere in umanità. Il rapporto con la divinità è infatti sempre tensione in avanti, mai godimento di un oggetto, o il raggiungimento di una meta. Le persone mature spiritualmente sanno di essere nella Verità senza però possederla, e senza poterla definire in quanto la divinità è la vita stessa, nel suo dispiegarsi, nel suo scorrere dirompente, che continuamente si trasforma compiendosi.
«Noi gli diamo delle cose perché lui ce ne dia delle altre, facciamo dei sacrifici perché ci faccia dei favori, facciamo opere buone perché ci dia il premio. Concepire Dio in termini di legge, di obbligo, di dovere, di debito, di paga, di castigo, di premio invece che in termini di amore, di risposta, di alleanza, di nozze, è stravolgere la religione e Dio morirà per questo. L’ipotesi che sembra più vera è che Dio non è morto per i peccatori, per i peccatori non occorreva morire – bastava dire: Siete salvati! – è morto per i giusti, per convincerli del loro peccato, il peccato di avere un’ipotesi così cattiva su Dio. E Dio deve proprio morire in croce per dire: non sono così!» (Silvano Fausti).
AUTORE: don Paolo SquizzatoFONTECANALE YOUTUBE