«Ogni albero si riconosce dal suo frutto» (v. 44).
«Lo chiederemo agli alberi / Come restare immobili / Fra temporali e fulmini / Invincibili.
Risponderanno gli alberi / Che le radici sono qui. / E i loro rami danzano / All’unisono verso un cielo blu» (Simone Cristicchi).
Occorre vivere come le radici degli alberi, avendo l’ardire di riposare nella solitudine, nel silenzio e nel buio della propria terra interiore. E lì stare. Radicati.
Ma noi facilmente viviamo s-radicati; ci manca questo contatto silenzioso con noi stessi, con la nostra interiorità, la vita insomma: “dov’è la vita che abbiamo perduta vivendo?” domanda T.S. Eliot.
Ed è bellissimo che il vangelo di oggi elogi la fecondità indipendentemente dal tipo di albero di cui è espressione. Non è esclusiva dell’essere religioso, credente, cristiano il dare ‘frutti buoni’. Ciò che conta è il frutto, è il bene, l’amore seminato, la vita condivisa. La cura. E questo basta per asserire che quell’albero è buono!
Una coppia irregolare, un amore ‘diverso’, un senza Dio o un fedele di un altro Credo, cesseranno così di essere ‘alberi cattivi’ alla prova dei fatti, per quell’amore che sapranno donare e donarsi, e se questo amore sarà capace di trasformare, rendere più bella e far sbocciare una vita, significherà che quell’albero da cui l’amore è scaturito è senz’altro buono, con radici profonde che attingo al cuore stesso di Dio.
Ma occorre stare attenti, perché può accadere il contrario, ossia ritenersi alberi buoni solo perché appartenenti alla foresta della consuetudine religiosa, cresciuti al sole delle pie pratiche di pietà, per poi scoprirsi elargitori di frutti acerbi, cattivi e velenosi. Allora si aprirà gli occhi sulla propria verità, ritrovandosi magari a sera fatti solo di spine e rovi.
Ma questo potrebbe ancora rivelarsi una benedizione: se prendiamo coscienza d’essere fatti di spine, possiamo ancora essere posti come corona in testa al Cristo crocifisso (cfr. Mt 15, 17), realizzando così il detto di Isaia: «Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio» (Is 62, 3). Ed essere così guariti dalla nostra presunzione, ritrovandoci nell’abbraccio di un amore che tutto copre (1Cor 13, 7) e lasciandoci accarezzare da una misericordia che rigenera e manda avanti la vita.
AUTORE: don Paolo SquizzatoFONTECANALE YOUTUBE