Gesù nel deserto non ci va di sua spontanea volontà, ma perché sospinto. Niente meno che dallo Spirito. Probabilmente Gesù avrebbe preferito un giardino, l’altra faccia del deserto. E qui nel deserto fa i conti con ciò che si è soliti chiamare male, negatività, ombra. Non che nei vari giardini quotidiani ciò non sia presente, ma tra distrazioni e rumori passa inosservato: un’invisibile presenza. Invece nel deserto, nel silenzio, nelle quiete il male oltre ad esserci si appalesa, non è più nascosto da nulla. E se ne fa esperienza.
Abbiamo bisogno di tempi di stacco, silenzio e di quiete per poter entrare in contatto con l’ombra, chiamarla per nome. Porsi faccia a faccia col male che ci portiamo dentro, darli un nome. E magari imparare sorridere al proprio peggio.
Altrimenti non si andrà da nessuna parte, sempre intenti a diventar migliori, più buoni, e in ultima analisi frustrati.
Vivere nel caos, nel rumore e nella fretta è surfare sulla superficie della vita illudendoci di stare in un giardino. Occorre ritirarsi e cominciare a silenziare l’’io’ e il ‘mio’. Silenziare la mente, ossia il commento e dunque il giudizio su ciò che è stato fatto, su ciò che capita ora, e su ciò che potrà succedere.
Ma come fare? Tutte le tradizioni spirituali invitano ad allenarsi, stare ed esperire il vuoto. Vivere il vuoto e non scappare. Semplicemente stare. Stare col vuoto alimentare (digiuno), col vuoto mentale (meditazione), quello affettivo o sentimentale.
Nel vuoto di sé, caduti gli appigli e gli appoggi, emergerà l’unica cosa necessaria: il proprio vero Sé, la matrice originaria che siamo.
Il problema è che ci portiamo dentro un ‘diavolo’ che lotterà sempre per separarci (dia-bolus = colui che separa). Farci credere che siamo altro dalla nostra natura autentica; che siamo i nomi che ci hanno dato, i titoli acquisiti, il denaro accumulato, gli affetti selezionati, le prestazioni erogate… Abbiamo perso il nostro vero nome, non sappiamo più chi diavolo siamo…
Questa è l’unica grande tentazione: farti credere d’essere ciò che non sei.
Pablo d’Ors dice che «Una tentazione non è altro che una distrazione biografica, così come una distrazione non è che una tentazione mentale».
Amare il deserto dunque per scoprire la nostra natura autentica, originaria, divina. Amare quel deserto soprattutto in cui si è condotti dalle circostanze della vita (lo Spirito) e non quello scelto dai noi, anche perché opteremo facilmente per uno a cinque stelle e vista mare.
Per gentile concessione di don Paolo Squizzato