A tutti coloro che pensano di giungere al proprio compimento di persone umane (questa è salvezza), semplicemente attraverso una serie di pratiche come: l’ascolto della Parola: «tu hai insegnato nelle nostre piazze» (v. 26b), una costante pratica eucaristica: «abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza» (v. 26), magari una vita morale irreprensibile, portata avanti anche con una buona dose di sacrifici, Gesù risponde: «Per voi, la porta della salvezza è chiusa! Voi – proprio voi – non so di dove siete. Allontanatevi da me» (vv. 25b. 27).
Quelli che si salveranno, continua Gesù, saranno invece quelli che arriveranno da oriente ed occidente, da settentrione e mezzogiorno (v. 29) – luoghi dove risiedono i popoli maledetti e nemici storici di Israele! Proprio questi entreranno: «siederanno a mensa nel regno di Dio» (v. 29b), ovvero vivranno la comunione più alta con Dio. Interessante: si salva chi è perduto.
Gesù, in maniera paradossale, ci invita a cambiare mentalità. Non è il proprio ego, la propria volontà a conquistare il cielo, o se vogliamo la salvezza, ma piuttosto farsi accoglienti ad un qualcosa che è già dato, che è previo, immeritato.
“La grazie è senza sforzo” ebbe a dire Simone Weil.
Non vi è alcun premio da conseguire e chi crede di procurarsi la salvezza, è già perduto. Chi vive nella logica del merito, renderà vana la croce di Cristo, dono per tutti i ladroni crocifissi della storia.
Ma allora quel «sforzatevi di entrare per la porta stretta» (v. 24) come va interpretato?
Non certo come uno ‘sforzatevi con una vita morale e santa di entrare nel paradiso; sforzatevi di essere buoni, di amare, di non fare peccati…’. Anzitutto in greco non c’è sforzatevi bensì “lottate”. Siamo chiamati a lottare contro tutto ciò che impedisce di essere raggiunti, le nostre sovrastrutture religiose, la presunzione di essere dalla parte giusta, di ‘essere dei suoi’, di essere meritevoli della sua attenzione. Tutto questo risulta essere impedimento alla Presenza che desidera solo poter emergere dal nostro essere e trasformarci. Ciò che impedisce a Dio di amarmi non è il mio peccato, la mia debolezza, ma non fare spazio in me al suo dono immeritato, non accettare il suo amore gratuito, perché tutto intento a guadagnarmelo. Impedirò a Dio di amarmi ogni volta che penso che questo amore vada meritato. In questo caso lui non può venire a me, perché egli è venuto solo per gli ammalati e gli ingiusti (cfr. Lc 5, 31).
Gesù sta dicendo proprio a noi: “Lottate” (sforzatevi) contro la vostra presunta “ricchezza” spirituale (cfr. Lc 6, 24), i vostri meriti, solo così potrò finalmente venire a recuperare ciò che era perduto (cfr. Lc 19, 10).
La porta sarà sempre stretta, anzi chiusa per ciascuno di noi se viviamo come schiavi dinanzi a un Dio padrone. E sarà larga solo per i miseri e i peccatori, perché da lì passerà il fiume della misericordia di Dio che come Padre si prende cura di tutti i suoi figli.
Qualcuno dinanzi a questo Vangelo sconvolgente dirà: allora è tutto ‘facile’, basta stare in un certo quietismo, magari continuando a peccare e aspettare che lui venga a salvarci. E invece no! Per questo Gesù dice: «lottate!». Ci vuole molta più forza per vivere da figli liberi e accettare di essere amati gratuitamente, che vivere da schiavi strisciando a terra come servi per guadagnarsi il suo amore. Ci vuole più forza ad aprire il pugno e stendere il palmo per ricevere il dono, che serrarlo per conquistare il cielo con la propria volontà.
AUTORE: don Paolo Squizzato
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