Essere di Cristo non autorizza a disertare la terra. Il nostro posto è solo questo mondo a cui capo vi è e vi sarà sempre un Cesare.
E occorre ‘rendere a Cesare quel che è di Cesare’ (cfr. v. 21), impegnarsi a fare il bene proprio in questo nostro mondo. Contribuire al bene comune, fare tutto ciò che è in nostro potere perché il posto che abitiamo possa essere ‘trasformato’ dal di dentro, attraverso l’innesto di un ‘principio nuovo’, una modalità ‘altra’ d’esistenza, uno stile di vita improntato alla fecondità.
Sarà pur vero che questo mondo è pieno di menzogna e di morte, ma Gesù insiste: «Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare» (Lc 10, 19), dove il serpente è simbolo della menzogna, e lo scorpione simbolo di morte in quanto ha il veleno nella coda, sua parte terminale.
Il cristiano è, in virtù della sua appartenenza a Cristo, ‘nuova’ modalità d’esistenza, portatore di un principio di vita altro, in grado di vincere anche la menzogna e la morte. Essere cristiani non significa essere proiettati verso un aldilà paradisiaco, ‘saltando’ la storia, ma piuttosto essere ‘rinviati’ nell’aldiquà, radicati, ben piantati su questa terra attraverso una modalità di vita del tutto nuova.
Cosa vorrà dire ‘rendere a Dio ciò che è di Dio?’. Se nel caso di Cesare tutto è partito da un’effige su di una moneta, qual è la moneta che riguarda il mondo di Dio? L’uomo. Rendere a Dio ciò che è di Dio significherà perciò presentargli le sue creature nella loro piena dignità, l’uomo ridonato a sé stesso, ripulito dal fango che lo imbratta, guarito delle ferite del corpo e dello spirito.
Il Vangelo di oggi sottolinea che ai cristiani non è dato disertare la terra in nome di un fantomatico ‘cielo’, ma è chiesto loro di trasformare la terra in cielo. Nel Padre nostro noi preghiamo perché venga qui ed ora il suo Regno, e noi sappiamo che laddove si vive l’amore, là si trova già un “pezzo di Regno di Dio”, anzi è dato Dio stesso. Forse abbiamo imparato dopo duemila anni di cristianesimo ad affermare che Dio è Amore, ora è giunto il momento di credere che l’amore è Dio. Che ogni volta che si ama lo si rende presente, gli si dà carne, volto, figura. Per cui chi ama crede in Dio. Chi ama è già in paradiso.
Chi ama ha già vinto l’inferno perché l’inferno – dice Dostoevskij, è non amare più.
Dobbiamo cominciare a credere che il paradiso non è tanto la terra trasfigurata dall’amore che salirà in cielo, ma piuttosto una terra trasfigurata dall’amore, terra dove si muovono donne e uomini che rendono a Cesare ciò che è di Cesare, e agli uomini secondo il loro bisogno.
AUTORE: don Paolo Squizzato
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