“Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, […] a causa del mio nome».
Gesù non fa sconti. A chi l’ascolta sbatte in faccia la realtà. Le cose non vanno bene, e non ci s’illuda che andranno meglio.
La tradizione zen afferma che ‘il mondo è perfetto così com’è’, e Gesù pare esserne convinto. Certo, semplicemente perché è qui ed ora che siamo chiamati a vivere con tutto noi stessi, senza rifugiarci in sogni o nostalgie.
Piuttosto che recriminare su come va questo mondo, Gesù invita ad immergercene e viverlo fino in fondo, percependo la vita come un parto, possibilità di venire alla luce di sé. Proprio questa vita, con tutta la sua complessità, con le tempeste e gli sconvolgimenti, e la grande dose di sofferenza che l’accompagna, sta conoscendo i dolori del parto (cfr. Rm 8, 22), per una fioritura che non avrà fine.
La vita è processo di trasfigurazione, non di disfacimento.
E forse in quest’ottica impariamo che la ‘fine del mondo’, non accadrà quando la violenza e la cattiveria raggiungeranno l’apice, e quando l’ultima bomba atomica deflagrerà l’intera creazione, ma quando ciascun essere vivente saprà apporre nel quotidiano un gesto di bontà, un abbraccio accogliente, una condivisione del pane, un gesto di perdono gratuito. La ‘fine’ non sarà un fatto terribile, ma un evento di bellezza. E se sapremo conservare un barlume di umanità potremo anticipare la ‘fine del mondo’ ogni volta che affermeremo un gesto di bontà e di bellezza.
In questo inferno su cui siamo chiamati a camminare, noi siamo di quelli che s’ostinano ancora a raccogliere i fiori. E che dinanzi al volto dell’altro si scoprono a dire: ‘sei la fine del mondo!’.
Tutta la Bibbia è concorde nel farci memoria che alla fine ciò che rimarrà è la fedeltà di Dio, rivelata come Bellezza e Amore. Ma questo avverrà come accade al seme che prima di essere un fiore conosce il buio della terra e il marcire.
Aveva ragione il grande scrittore francese: «Non è niente il morire, spaventoso è il non vivere» (Victor Hugo) Sì, non è la morte biologica la cosa peggiore che potrà capitarci, ma il non aver vissuto appieno.
AUTORE: don Paolo Squizzato