In questo Vangelo tutti perdono qualcosa. Un pastore perde una pecora, una donna perde una moneta e poi c’è un padre che se non perde un figlio, lascia di fatto che un figlio si perda.
Luca ama la perdita e la condizione dei perduti: per lui in fondo l’Amore è proprio per questi, tanto da far dire a Gesù: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò̀ che era perduto» (Lc 19, 10).
La divinità è come aborrisse il vuoto, e fosse obbligato a riempirlo. Vige, nelle cose di Dio, una sorta di legge di natura: come il gas riempie ogni anfratto trovato vuoto, così l’energia divina riempirà ogni spazio di non presunzione, di abbandono.
Non dobbiamo far nulla nei confronti della divinità, se non arrenderci, depositare armi ed espedienti posti in essere per conquistarla. Occorre ‘rimanere’, e accorgersi che la meta è sempre stata qui. Dobbiamo solo goderne.
Il ‘figlio maggiore’ della parabola ragiona in maniera diametralmente opposta. Lavora molto per il suo padre/padrone. Non disattendendo un comando del suo datore di lavoro alla fine pretende il salario-ricompensa, quello riservato ai servi. Ma il padre gli dirà: ‘tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo’. Siamo della stessa sostanza, come puoi fare qualcosa per me? Devi solo prendere consapevolezza che sei già ciò che vorresti essere: “Ciò tu sei”, tu sei me! Non devi raggiungere nulla, perché non c’è nulla da raggiungere!
Il figlio minore ha vagato, ha sperperato, è rimasto senza nulla, e proprio per questo può fare esperienza del Nulla, ossia della divinità che non è né questo né quello.
‘Chi perderà la propria vita la troverà’ dice Gesù, infatti il perduto non può far altro che abbandonarsi e sprofondarsi nella pasta di cui è costituito, il divino, sperimentando in questo modo la beatitudine, lo stato di quiete, di pace non dipendente da fattori esterni, da prestazioni e conquiste.
E qui non vi è più paura e ansia. Se la divinità è vero che giace nel fondo dell’anima come ci ricorda la mistica, e se il nostro piccolo io, il nostro ego non sarà più ancorato, attaccato a qualcosa di esterno – aspettative, ricompense, desideri- allora l’uomo cadrà inevitabilmente come la mela di Newton. Dove? Nella divinità. Perché, lo ripetiamo, la divinità per sua natura, come la sabbia e l’acqua, saturerà tutto ciò che è vuoto.
«Dove e quando egli ti trova pronto cioè vuoto, deve operare ed effondersi in te, proprio come il sole non può fare a meno di effondersi, e nulla può trattenerlo, quando l’aria è limpida e pura» (Meister Eckhart).
AUTORE: don Paolo Squizzato