Maria viene oggi celebrata come Madre di Dio. Ma non è questo a far ‘grande’ questa donna, piuttosto il suo sì, la disponibilità all’azione di un Altro in sé, il riconoscersi opera di un Principio altro che non è il proprio ego.
Maria, la ‘benedetta tra tutte le donne’, sconosciuta perfino a sé stessa, si fa spazio vuoto, grembo accogliente. Fa voto di vastità.
Laddove non c’è più l’io, c’è Dio.
Maria è dunque solo più terra feconda. Semplice campo arato, perché il seme vi possa cadere e sbocciare. E sarà poi il seme a fare il suo corso: «dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso [il contadino] non lo sa» (Mc 4, 27). Occorre avere molta fiducia nel potere che ci portiamo dentro, quel seme, quel centro di energia creativa, pura potenzialità che ci abita e che se non intralciamo può farci venire alla luce.
E Maria custodisce, medita tutto ciò che accade nel suo cuore. Occorre abbracciare ciò che accade, anche l’inspiegabile, anzi soprattutto l’inspiegabile, l’incomprensibile, e custodirlo, meditarlo, dargli spazio, lasciare che si dilati e si dia nella sua modalità – quella del Mistero – e non quella dei nostri progetti e dei nostri deliri.
Maria terra paziente. Sta, come si sta nella meditazione più profonda. Dove pare che nulla muti, come in un lunghissimo inverno. Per poi scoprire che il germoglio del grano già compare dalla terra a primavera.
Maria, Madre e discepola piuttosto che Madonna. Giunta non in un etereo paradiso ma aggrappata a un patibolo infame – la croce – per scoprire infine e lentamente che a compiere una vita non è l’essere integerrimi di fronte alla Legge divina, come credeva ancora nella sua acerba religiosità (cfr. Lc 2, 22.23.39) ma solo l’amore capace di andare sino alla fine.
AUTORE: don Paolo Squizzato