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don Paolo Scquizzato – Commento al Vangelo del 3 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 2,13-25

Gesù ha sgretolato quella ‘religione’ fondata sul commercio con una divinità, sul baratto del dare e avere, del sacrificarsi per ricevere qualcosa in cambio, perché sa che il Dio della vita non gradisce ‘sacrifici ed offerte’ (cfr. Sal 40, 7) ma se ne potrà fare esperienza ogniqualvolta si vivrà la misericordia: ‘Misericordia io voglio, non sacrifici’ (cfr. Mt 9, 13).

Gesù fa pulizia dei mercanti che ci abitano quando ci lasciamo ferire dai sensi di colpa perché vediamo trasgrediti gli impegni assunti verso noi stessi, quando ci prende la tristezza del dover corrispondere sempre alle attese della divinità e la frustrazione di non sentirsi mai adeguati e puliti dinanzi a un dio giudice severo.

Gesù è venuto a purificare il tempio del nostro cuore dai fantasmi del ‘migliorismo’, del dovere di sentirsi a posto, facendoci comprendere che Dio non vuole servi migliori ma solo figli amati.

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A quel punto «molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome» (v. 23).

La fede non si nutre di miracoli, ma di ‘segni’.

Il segno indica sempre oltre, è l’indice che indica la luna. Questo è il compito di ogni religione: indicare oltre. Va da sé che innamorarsi del segno è follia; fermarsi alle liturgie, ai riti, ai precetti da ottemperare, è accontentarsi del mezzo senza mai poter progredire in umanità. Il rapporto con la divinità è infatti sempre tensione in avanti, mai godimento di un oggetto, o il raggiungimento di una meta.

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Le persone matura spiritualmente sanno di essere nella Verità senza però possederla, e senza poterla definire in quanto la divinità è la vita stessa, nel suo dispiegarsi, nel suo scorrere dirompente, che continuamente si trasforma compiendosi.

«Noi gli diamo delle cose perché lui ce ne dia delle altre, facciamo dei sacrifici perché ci faccia dei favori, facciamo opere buone perché ci dia il premio. Concepire Dio in termini di legge, di obbligo, di dovere, di debito, di paga, di castigo, di premio invece che in termini di amore, di risposta, di alleanza, di nozze, è stravolgere la religione e Dio morirà per questo. L’ipotesi che sembra più vera è che Dio non è morto per i peccatori, per i peccatori non occorreva morire – bastava dire: Siete salvati! – è morto per i giusti, per convincerli del loro peccato, il peccato di avere un’ipotesi così cattiva su Dio. E Dio deve proprio morire in croce per dire: non sono così!» (Silvano Fausti).

Per gentile concessione di don Paolo Scquizzato

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