Nel racconto della passione di Gesù, tutti compiono ciò che non vorrebbero compiere.
Pietro non avrebbe mai voluto rinnegare il suo Signore, e poi cade dinanzi ad una serva da cortile.
Giuda tradisce, e poi si pente in maniera tragica.
Pilato non avrebbe mai voluto consegnare il Nazareno nelle mani degli odiati giudei, e poi cede per biechi calcoli politici.
Si sa, ‘lo spirito è forte, la carne debole’.
Quanto siamo realmente liberi e dunque colpevoli del male che facciamo?
Solo le donne nel racconto della passione, sembra pensino e facciano ciò che hanno pensato. Volontà e azione in loro coincidono, perché si fidano dei sogni, come la moglie di Pilato che dirà al marito: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi in sogno sono stata molto turbata per causa sua» (v. 19).
Forse il femminile è l’ultimo avamposto dove ancora ci si fida dei sogni di giustizia, di amore e compassione.
Occorrerebbe che tutti ci si portasse dentro un certo sentire femminile e materno, ossia l’innata convinzione che la vita va difesa, sempre, fino in fondo, a tutti i costi. E comprendere che nel duello tra morte e amore, chi vincerà alla fine sarà sempre l’amore e che il massimo che potrà accadere sarà un terremoto (v. 51) che spalancherà i sepolcri permettendo alla vita di uscire, come la vita da un guscio d’uovo.
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Nel Vangelo è presente un sapere femminile enormemente superiore a quello degli uomini. Esse sanno che meno si opera più si crea, che la vita può scaturire da sé per via negativa e non necessariamente perché si è posto in essere un’azione. Che il divino ce lo portiamo dentro ed è sufficiente lasciargli spazio perché possa compiersi, come Maria che ha dato alla luce la Luce, ‘senza concorso d’uomo’.
Esse hanno compreso, come la Maddalena, in cosa consiste l’amore. Per questo Maria Maddalena ha ‘insistito’ davanti a quel sepolcro, perché ha creduto fermamente che il seme caduto nel terreno prima o poi avrebbe portato frutto, sarebbe sbocciato, perché il femminile sa come funziona l’amore; sa che «si può sigillare un sepolcro, si può persino metterci davanti una guardia, ma non si può impedire che la vita abbia inizio in coloro che l’hanno compresa» (E. Drewermann).
Per gentile concessione di don Paolo Scquizzato
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