La prima cosa che possiamo cogliere leggendo la parabola dei talenti è che Dio ha donato a ciascuno di noi capacità diverse, per numero e per tipologia, infatti Gesù inizia il racconto così: “Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì”.
Nessuno è una fotocopia, siamo tutti pezzi unici, originali e di conseguenza ciascuno possiede dei talenti unici perciò occorre domandarci: quali sono i miei? Quante volte invece ci scoraggiamo, abbiamo una percezione errata di noi stessi, crediamo di non valere nulla, ci sottostimiamo, abbiamo l’impressione di essere sempre in difetto e che gli altri siano meglio e più di noi.
Questa parabola è davvero Vangelo cioè buona notizia perché rivela che nessuno è privo di capacità e di risorse, ognuno di noi ha un valore e qualcosa da dare di sé, non passiamo il tempo a guardare ciò che hanno gli altri ma prendiamo coscienza dei doni che possediamo, ringraziamo ogni tanto per quelle che sono le nostre potenzialità.
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Arriviamo così al secondo livello della parabola: tutti abbiamo dei talenti, si tratta di riconoscerli e di conseguenza di metterli in gioco. Uno dei peccati più grossi cioè una delle cose che più nuoce alla nostra felicità e a quella degli altri, due dimensioni strettamente collegate, è quello di non mettere in campo le risorse e capacità che abbiamo tenendole in un cassetto e questo può accadere per diversi motivi: il primo perché non riconosciamo di possedere quei doni; secondo per paura del giudizio degli altri e di esporci; terzo per pigrizia/egoismo.
Non utilizzare i talenti contribuisce ad incupire la nostra esistenza, a percepirci vuoti, stanchi, depressi. Alcuni malesseri interiori che a volte rischiamo di esperimentare dipendono dal fatto che non ci mettiamo in gioco, viviamo con il freno a mano tirato, siamo in modalità risparmio invece di spenderci ci tratteniamo.
Con questo non significa diventare frenetici, tanto più nel tempo presente dove l’essere sempre di corsa sembra quasi un motivo di vanto, bensì si tratta di avere il coraggio di scegliere in quale campo giocare le nostre capacità anche perché credo che Dio, alla fine della nostra esistenza non ci chiederà quante cose abbiamo fatto quanto piuttosto se e come abbiamo usato i nostri talenti per rendere bella la nostra esistenza e quella altrui, tanti o pochi che siano.
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C’è un rischio quando leggiamo la parabola in questione ed è quello di pensare che i talenti siano soltanto ciò che so fare come se dovessi partecipare ad un talent show mentre a mio avviso un talento è ben di più, è prendere consapevolezza di quali siano i nostri punti di forza.
Vi sottolineo un particolare che si deduce dal brano ed è questa frase che pronuncia il padrone quando i due servi fedeli gli consegnano i talenti che hanno fatto fruttare: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
“Sei stato fedele nel poco”: parole che possono essere intese in questo senso: bravo perché non hai preteso di essere ciò che non sei ma hai semplicemente utilizzato quei talenti che ti ho dato, pochi o tanti che siano non importa. Nella vita ci è chiesto di usare i talenti che abbiamo e non quelli che non possediamo e questo è assolutamente liberante.
Spesso incorriamo nell’errore tremendo di voler essere ciò che non siamo, di rincorrere un ideale di noi, di voler possedere tutte le capacità ma in realtà Dio a ciascuno di noi ne ha assegnate alcune e sono quelle da far fruttare, da mettere in campo senza voler pretendere da noi stessi ciò che non siamo, non possiamo essere tutto ma dobbiamo fare la nostra parte.
“Prendi parte alla gioia del tuo padrone”: sei nella gioia vera quando ti sei donato per ciò che sei, quando interpreti la vita non come una competizione per primeggiare su tutto ma quando riconosci i tuoi limiti e le tue risorse, i tuoi punti di forza ed allo stesso tempo di debolezza.
Siamo nella gioia e nella pace aggiungo, quando non pretendiamo di arrivare dappertutto bensì ci doniamo per ciò che siamo, usando le nostre qualità e non torturandoci per quelle che non abbiamo e che altri posseggono. Non possiamo dare ciò che non possediamo bensì abbiamo il dovere sacrosanto di donare ciò che ci appartiene: le nostre qualità, sensibilità e i punti di forza.