Commento di don Paolo Quattrone – sacerdote della diocesi di Aosta, parroco di Bard, Donnas, Hône e Vert.
Quale bellezza mi apre all’eterno e quale invece mi schiaccia
La prima lettura, tratta dal libro del profeta Daniele, ci narra del re Baldassar che durante l’euforia di un banchetto vide apparire una mano che scriveva qualcosa di incomprensibile su un muro della sala del banchetto e allora convocò Daniele, conosciuto per il dono di interpretare sogni e misteri intricati il quale spiegò al sovrano il senso di quelle parole, rivelando che preannunciavano la fine del suo regno poiché, come disse Daniele: “tu hai reso lode agli dèi d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno, di pietra, i quali non vedono, non odono e non comprendono, e non hai glorificato Dio, nelle cui mani è la tua vita e a cui appartengono tutte le tue vie”.
Tornando al discorso di ieri, dobbiamo imparare a distinguere ciò che è eterno e ciò che non lo è per non riporre tutta la nostra fiducia su cose che svaniscono. Con questo non vuol dire disprezzare la bellezza che ci circonda ma significa aver chiaro che è un mezzo e non il fine. Vi sono infatti cose che non hanno durata eterna ma che ci aprono all’eternità, penso alla natura e all’arte.
Grandi opere d’arte che esistono da secoli, pensate la Cappella Sistina, il David di Michelangelo, la ragazza con l’orecchino di perla, la primavera di Botticelli, città d’arte come Firenze, Roma, Venezia potrebbero svanire in un attimo, essere distrutte con questo non significa che non dobbiamo innamorarci dell’arte, appassionarci ad essa ma dobbiamo essere consapevoli che le opere non durano per sempre.
Così come nel caso della natura, è magnifica ma un paesaggio, una località potrebbe distruggersi in pochi minuti. L’arte, la natura è vero che potrebbero svanire in un secondo ma hanno una missione, attraverso la loro bellezza, ricordarci e rivelarci che abbiamo un’anima, che c’è qualcosa di eterno, che c’è ben di più oltre alla dimensione materiale.
La bellezza è un mezzo non è il fine, come il Tempio di Gerusalemme era un segno che doveva rimandare a Dio, così le nostre chiese, la natura, un’opera d’arte come un libro, un film, un dipinto, una scultura, una canzone non sono eterne ma ci rimandano all’eterno, ricordano a noi umani troppo spesso sintonizzati sulle cose materiali che in noi c’è di più, che possediamo sentimenti, emozioni, che abbiamo un animo.
Circondarci di cose belle non è un male ma dobbiamo ricordarci che sono la strada e non l’arrivo, la bellezza delle cose ci dovrebbe rimandare ad una bellezza superiore, eterna, divina mentre spesso restiamo inchiodati al mondo orizzontale. In questo senso è opportuno distinguere che forse non tutto ciò che ci sembra bellezza è per il nostro bene, occorre chiederci: quale bellezza mi apre all’eterno e quale invece mi schiaccia sul mondo materiale.
C’è una bellezza che ci inchioda ed un’altra che ci fa volare, impariamo a distinguerle.
AUTORE: don Paolo Quattrone – Fonte