Convertitevi

Convertitevi. Che verbo strano. Che imperativo strano. Strano all’epoca di Gesù, strano per noi oggi. Significa cambiare mentalità. Per cambiare strada nelle scelte della vita. Per imbroccare quella giusta: quella che porta sempre all’incontro con Dio e con l’uomo. Oltre me stesso, oltre il mio immaginario. Dall’opulenza all’essenza. Dall’avere all’essere. Che stranezza.

Per azionare questo verbo, attualizzarlo, renderlo vita, sembra sia utile un mettersi in cammino, percorrendo vie preparate da sé stessi per incontrare il Dio che viene. Che stranezza.

Per percorrere queste vie, che conducono ad un incontro significativo e significante la vita, sembra sia necessario attraversare il deserto, abitare il deserto. Giovanni Battista lo fa e lo indica. Che stranezza.

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Deserto, lo spazio intermedio tra un già vissuto e un non ancora di pienezza. Come dalla liberazione dalla schiavitù d’Egitto alla terra promessa. Uno spazio geografico storicamente avvenuto nel deserto del Sinai, ma anche uno spazio spirituale che deve avvenire ancora e sempre per incontrare la conversione. Un frutto degno di conversione. Che stranezza.

Incontrare Dio, non il Dio della liberazione dalle sofferenze, ma la liberazione di Dio per abbracciarlo così com’è: povero, mite, umile, bambino. Dio spogliato, Dio spoglio, Dio nudo. Dio vero. Dio nell’uomo.

Liberarci dall’idolo dell’onnipotenza, il Dio taumaturgo che guarisce e protegge dall’altro, ed incontrare nello spogliamento l’essenzialità di Dio, l’Emmanuele che abita la mia stessa vita. Che stranezza.

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Giovanni, di casta sacerdotale, per diritto nativo “funzionario” del tempio, sceglie la logica dell’assenza per manifestare la Presenza. Nel deserto. Portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico, testimone credibile di un’alternativa. La Presenza dimora non più e non solo nelle belle pietre del tempio (cfr Lc 21,5), ma nell’aridità di un deserto che nutre e veste. Che stranezza.

Ancora oggi. Dalla profusione dell’eccessiva eccedenza alla scelta di una conversione ecologica. Per incontrare Dio nel tempo totale e pieno della propria esistenza. Scoprirsi e comprendersi creature dentro il creato, fragili come l’erba che germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca (cfr Sal 90, 5-6) eppure impronta eterna del Creatore.

Convertiamoci alla fragilità per incontrare l’onnipotenza del Dio diverso. Dio fragile come me che mi salva dall’odio e dalla vendetta perché disarmato. Le vipere, il serpente antico di Genesi, non possono più avvelenare la nostra razza umana con il delirio dell’autosufficienza e della dittatura dell’odio, perché “protetti” dalla profilassi della conversione alla debolezza della tenerezza. Che stranezza.

L’ira imminente allora sarà il frutto buono del perdonarsi. L’ira diverrà uccidere la morte dell’odio facendo fruttificare la conversione. Lo Spirito entra nelle midolla. Incontriamo colui che viene.


FONTE
Foto di Steve Haselden da Pixabay