Il commento al Vangelo di domenica 3 luglio 2022, a cura di don Mauro Pozzi.
Il Maestro chiama i suoi collaboratori operai, ciò significa che lavorare per lui non è un passatempo, ma una occupazione che ci identifica e che dà senso alla vita.
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LAVORARE PER LUI
Il lavoro è un aspetto molto importante della nostra vita, occupa tanto del nostro tempo e spesso le persone si identificano con la loro professione. Si dice infatti: sono un operaio, sono un commerciante, sono un medico… come se l’occupazione definisse la persona. Un disoccupato, al contrario, vive un profondo disagio non sentendosi utile a nessuno. Certamente si lavora per vivere, ma il nostro fare va oltre noi stessi perché si inserisce nel contesto sociale facendo sì che noi contribuiamo al bene comune.
Ci si può domandare, al di là del problema del mantenimento di sé e della famiglia, quale sia lo scopo del lavoro. Se è possibile animare la propria professione con un ideale, questo contribuisce alla realizzazione e alla crescita della persona intera. Lavorare allora per gli altri, per migliorare la società, ma l’orizzonte si può allargare ancora di più: lavorare per il Regno. È interessante che Gesù chiami operai i suoi discepoli.
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Vuole farci capire che non si tratta di un hobby o di un impegno a mezzo servizio, ma che ha l’importanza e la portata per coinvolgere tutta l’esistenza. Chiede di pregare per avere questi operai, il mondo ne ha bisogno. È comunque un compito difficile, si tratta di essere agnelli in un mondo di lupi senza contare solo sulle proprie forze (sandali, bisaccia…) e senza appoggiarsi a nessun uomo, ma solo a Dio (non salutate nessuno). Il lavoro per il Regno non risponde alle solite logiche umane, ma è qualcosa di diverso e non ci devono essere equivoci.
Il compito è quello di portare la pace, ma a chi è disposto ad accoglierla, proprio come l’amore di Dio che non fa violenza a nessuno ma si dona a chi lo riceve. Non è un lavoro senza mercede, ma non si fa per arricchirsi. In realtà, lo dico per esperienza, il Signore non ci fa mancare nulla, ma certamente non è il profitto lo scopo dell’impegno. Il fatto che le città che non sanno accogliere gli inviati siano condannate, non è una sentenza contraria da parte di Gesù, ma una sorta di autogiudizio, come dire che chi si toglie dalla grazia è causa del suo stesso male.
I discepoli hanno successo e questo dipende dalla loro fede. Infatti io credo che il Maestro dia anche agli operai di oggi lo stesso potere di quelli di allora, ma sta a noi avere la loro stessa fede. Non è però il potere che deve dare gioia, ma l’essere parte di un disegno eterno. Il nome scritto nei cieli significa che quanto è fatto per il Signore non è più dimenticato, nemmeno dopo la morte. Vorrei allora che pregassimo perché ciascuno di noi sia operaio del Regno nel suo contesto e perché il Signore non ci faccia mai mancare la benedizione della sua presenza in mezzo a noi.
AUTORE: don Mauro PozziFONTE: emailSITO WEBCANALE YOUTUBE