Il Buon Pastore dà la vita per il gregge, vuole farlo crescere non per sfruttarlo, ma per divinizzarlo.
don Mauro
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BUON PASTORE
Uno dei modi più antichi di rappresentare Gesù è stato raffigurarlo come un pastore con una pecora sulle spalle. È un’immagine che si trova spesso come ornamento sui sarcofagi paleocristiani. Il Maestro dichiarandosi il buon pastore si collega ad una tradizione antichissima, comune alle culture orientali, che troviamo nei profeti.
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Soprattutto Ezechiele e Geremia si servono di questa figura per indicare il Messia e dunque Gesù si proclama il Cristo identificandosi con il pastore annunciato nell’Antico Testamento. Egli dà la vita per le sue pecore. In genere chi alleva gli ovini lo fa nel suo interesse, per il latte, la lana e la carne. Al contrario Gesù mette in gioco la sua vita per far crescere il gregge fino a divinizzarlo.
È quanto dice Giovanni nella seconda lettura: quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Inoltre il buon pastore difende il suo ovile dal lupo che rapisce e disperde. È un chiaro riferimento a satana, che col peccato allontana dalla comunione e divide. Il mercenario è il cattivo sacerdote, che non si spende per la sua gente, ma lascia che il predatore se ne appropri.
Il monito è per i sacerdoti di tutti i tempi e dunque anche per me. Ezechiele (3, 16-21) dice che se il profeta, cioè il portavoce di Dio, non avverte il malvagio della morte che incombe su di lui, di quella morte gli sarà chiesto conto. Il compito di tutti i fedeli della chiesa e soprattutto dei ministri, dal prete fino al papa, è quello di parlare con franchezza, senza paura di avere delle noie, per annunciare il Regno.
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Gesù è stato crocifisso e anche oggi il mondo si scaglia contro l’insegnamento della Chiesa e contro coloro che dicono la verità come è successo a M. L. King o a Gandhi. Il Signore però non abbandona chi è perseguitato perché lo conosce ed è conosciuto da chi gli appartiene. Questa conoscenza ha un significato particolare nella Bibbia, non è un semplice atto intellettuale, ma un’esperienza coinvolgente, un vero incontro.
Giovanni all’inizio della sua prima lettera dice di annunciare il Verbo che ha visto, udito e toccato. Questo significa che anche noi dobbiamo arrivare a questa conoscenza. Non è impossibile perché i sacramenti rendono la presenza di Cristo tangibile. Nella messa che celebriamo possiamo ascoltare la sua parola e toccarlo, addirittura mangiarlo, nel pane spezzato.
Inoltre la preghiera è un modo meraviglioso per aprire la porta al Signore che bussa e farlo entrare nella nostra vita. La vita cristiana nasce da questo incontro, prima che dai comandamenti. Nasce dall’ascolto della voce del Pastore che ci chiama per nome.
- AUTORE: don Mauro Pozzi
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