La terza domenica del tempo ordinario, dopo il trittico dell’epifania rappresentato dal bambino ai magi, dalla rivelazione del Padre al Giordano e dalla conoscenza che Giovanni il Battista fa di Gesù, e prima ancora di incamminarci al seguito del Maestro attraverso la testimonianza offertaci dall’evangelista Matteo, intende confermarci come: «Gesù non è solo la stella per i gentili, la luce delle nazioni, ma altresì la luce nell’oscurità per tutti coloro che stanno nelle tenebre» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 25]. Dopo l’arresto del Battista da parte di Erode Antipa, infatti, Gesù prende in qualche modo il suo posto dando così avvio al ministero pubblico, e trasferendosi da Nazaret a Cafarnao, sul lago di Galilea.
L’evangelista fa notare come il Maestro lentamente si auto-rivela partendo da questo territorio a nord della terra d’Israele, anticamente affidato alle tribù di Zàbulon e di Nèftali. La scelta di questo luogo è legata alla realizzazione di una profezia del profeta Isaia: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano nella terra dell’oscurità una luce è rifulsa» (Is 9, 1).
Ci troviamo nella sezione 8, 23 – 9 ,6 del primo Isaia (cc. 1-39), che leggiamo nel tempo di avvento, dedicata all’intronizzazione del re Ezechia nel 726 a.C. Figlio di Acaz, regna ventinove anni compiendo una riforma in campo religioso, sradicando l’idolatria e distruggendo Necustàn, il serpente di bronzo che aveva fatto Mosè nel deserto e che era stato successivamente collocato all’interno del tempio di Gerusalemme (cfr. 2Re 18, 4). Israele, in questo periodo, attraversa l’esperienza delle tenebre per via dell’occupazione delle terre di Zàbulon e di Nèftali, che diventa provincia assira da parte di Tiglat-Pileser III, ma vede la salvezza nella riconquista della terra proprio per l’ascesa al regno del nuovo re. Infatti, «la conquista assira costituisce lo sfondo della desolazione e della tristezza, contro il quale viene fatta risuonare la successiva nota profetica della luce e della speranza» [B.S. Childs, Isaia, Queriniana, Brescia, 2005, 92].
Per il profeta Ezechia rappresenta la possibilità di salvezza per Israele affinché si possa spezzare «il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Mádian» (Is 9,3). Riferimento ai soldati assiri che avevano deportato la popolazione del nord ma che troveranno la liberazione come fu al tempo di Gedeone che con un piccolo gruppo di uomini armati aveva sconfitto l’esercito dei Madianiti (cfr. Gdc 7).
L’evangelista Matteo, citando il profeta, cambia il tempo del verbo “vedere” dal presente al passato (ha visto / vide) facendo così comprendere come l’opera della redenzione si è ormai compiuta. Inoltre, sostituisce l’espressione «Il popolo che camminava nelle tenebre» con «Il popolo che abitava nelle tenebre», al fine di mostrare che Gesù ha portato davvero la luce a coloro che dimoravano in Galilea. Non a caso alla fine del vangelo riporta come l’angelo alla tomba vuota annunci: «E’ risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea» (Mt 28,7), luogo dove era iniziata la rivelazione.
Sul tempo di Gesù, dunque, ricade il giudizio di essere il “tempo del compimento”, in cui il Signore realizza ogni volta la sua parola, e per l’evento neotestamentario questo significa che non è causale, terreno o politico, ma storia sacra. Il vangelo annunciato compie, quindi, il passaggio dal xρόνος del tempo dell’uomo al καιρός del tempo di Dio, dalle tenebre del peccato alla luce della grazia ove il Maestro si è fatto lui stesso Luce e Salvezza attraverso le sue opere e le sue parole che contempliamo ogni domenica nella celebrazione del suo santo sacrificio.
«Ammiri quell’esimo Mosè, il quale per prestanza di scienza comprende ogni creatura di Dio? Eccoti il sabato, quello benedetto, della prima creazione del mondo. Da quel sabato riconosci questo sabato, il giorno della pace, che Dio ha benedetto al di sopra di ogni altro giorno. Infatti, in questo si è veramente riposato da tutte le opere l’Unigenito Dio, avendo offerto la quiete alla carne nell’economia per mezzo della morte; ed essendo ritornato per mezzo della resurrezione a ciò che era, fece risorgere con sé tutto ciò che giaceva, diventato vita, resurrezione, aurora, mattino, giorno per coloro che giacevano nelle tenebre e nell’ombra della morte»: Gregorio di Nissa, dal trattato Sulla santa Pasqua, disc. 1: PG 46, 601).
Don Massimiliano Nastasi – Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)