La V domenica di Pasqua ci propone, come già la scorsa settimana, un discorso di Gesù tratto dal Vangelo di Giovanni. Esso è collocato nella parte centrale dei “discorsi di addio” del Maestro (cc. 13-17), un vero e proprio testamento in cui, dopo l’uscita di Giuda Iscariota dal Cenacolo, «Gesù consola i suoi discepoli con una promessa di ritornare a riprenderli con sé, in modo che possano essere con lui» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 482], annunciando la sua imminente morte – «Vado a prepararvi un posto» (Gv 14, 2) – unita al suo ritorno: «Verrò di nuovo e vi prenderò con me» (Gv 14, 2).
Quest’ultimo aspetto rappresenta una novità all’ebraismo antico, come notiamo nei testi provenienti da Qumrân che mostrano che non erano molto diffuse le speranze sulla vita eterna, o al massimo si anelava ad un’esistenza umbratile nello שאול / Še’ôl. Cosicché, «le parole di Gesù sono rivoluzionarie quando dice: se vado al Padre, allora significa che uno di noi esseri umani è arrivato fin là, in maniera definitiva, a differenza di Enoc ed Elia, che ritorneranno sulla terra per morire “veramente”» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 502].
Il Maestro, quindi, se prima aveva detto ai Giudei di Gerusalemme durante la festa delle capanne (Sukkot) di recarsi in un luogo sconosciuto – «Dove sono io, voi non potete venire» (Gv 7, 34) – ora agli apostoli, come scrive il vescovo di Ippona, li sprona a conoscere la strada: «Egli è in se stesso, e poiché essi saranno dove egli è, anch’essi saranno in lui. Egli è dunque la vita eterna nella quale noi saremo, quando ci avrà preso con sé; e la vita eterna che è lui, è in lui stesso, sicché anche noi saremo dove egli è, cioè in lui» [Agostino, In Io. Ev. tr., 70, 1, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXIV/2 («Commento al Vangelo di S. Giovanni [51-124]», tr. it. E. Gandolfo – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 19852, 1044]. Una via che però essi ancora non hanno pienamente compreso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via» (Gv 14, 5).
La risposta di Gesù è una vera e propria formula teoforica, una delle sue affermazioni più solenni che riunisce in una sola frase i concetti più fondamentali che sono stati sviluppati nel vangelo: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). Una definitiva rivelazione della sua realtà divina che trova il suo riferimento prossimo nella stessa teofania di Adonai a Mosè: «Io sono colui che sono» (Es 3, 14), il nome stesso di Dio. Una formula che, come abbiamo visto in queste domeniche, il IV Vangelo utilizza spesso – «Io sono la porta delle pecore» (Gv 10, 7); «Io sono il buon pastore» (Gv 10, 11); «Io sono la resurrezione e la vita» (Gv 11, 25) – per aiutare i credenti a vedere in Gesù il Dio stesso della rivelazione ebraica.
Il Cristo, infatti, è innanzitutto la persona che rivela Dio già nella sua incarnazione, e passando attraverso la sua umanità è possibile giungere al Padre. La via, quindi, è la carne, la storia stessa del Maestro, e come passare dalla porta significa assumere lo stile di Cristo, così percorrere la via significa precorrere le sue orme. Egli, però, non è una via tra le tante, bensì la sola; «quasi a lasciar intuire ciò che verrà spiegato subito dopo, ossia che i discepoli devono andare non al Padre, ma a Gesù, perché è solo in lui Figlio che trovano il Padre» [S. Migliasso, «Il primo discorso di addio (Gv 13,31– 14,31)», in Opera Giovannea, G. Ghiberti e coll. (a cura di), Elledici, Torino 2003, 262]. Ma tutto ciò sarà possibile solo dopo la sua partenza (ὑπάγω) nell’adempimento del mistero salvifico della morte gloriosa di Gesù.
Il Maestro poi, oltre che via, si presenta anche come verità, ossia rivelazione del Padre attraverso l’umanità del Figlio che dono la vita, come indica Giovanni al termine del suo scritto: «Credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20, 31). Comprendere le parole di Gesù però non è semplice, come mostra la domanda di Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14, 8). I discepoli, infatti, restano perplessi perché vorrebbero vedere Dio, magari attraverso una manifestazione straordinaria, e appagare così un forte desiderio veterotestamentario rimasto insoddisfatto (Es 33, 18s) che tuttavia la convivenza con Cristo avrebbe dovuto far scomparire da lungo tempo. Ma altro di Dio non si può vedere che quello che ci ha mostrato Gesù Cristo nella propria vita: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14, 10). Infatti, «quando il Signore insegna a conoscere la natura di Dio Padre a partire dall’amore per i nemici e a trovare in ciò la propria “perfezione” così da diventare noi stessi “figli”, allora la relazione tra Padre e Figlio è perfettamente manifesta. Allora diventa evidente che nello specchio della figura di Gesù noi conosciamo che è e come è Dio: attraverso il Figlio troviamo il Padre» [Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, 167].
Riconoscendo nel Figlio il Padre, ne consegue che anche il cristiano compirà le stesse opere di Dio, esattamente come fece Cristo e in base allo stesso principio: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste» (Gv 14, 12). Queste parole, infatti, «in quanto indirizzate ai primi apostoli, si riferiscono non soltanto al fatto che le opere del credente cristiano sono compiute nell’ambito dell’ordine soprannaturale, ma anche, e anzi soprattutto, alla Chiesa in quanto possiede e perpetua il potere divino di Cristo salvatore» [B. Vawter, «Il vangelo secondo Giovanni», in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973, 1419].
Parole che varcheranno ogni confine esercitando un potere salvifico attraverso il Paraclito inviato da Gesù; «Proprio per loro è inviato dal Padre e da Gesù: rimarrà e sarà per sempre con i discepoli; insegnerà e ricorderà e farà capire tutto quello che Gesù ha detto; guiderà a conoscere la verità tutta intera» [Pacomio, L., Gesù. 37 anni che cambiarono la storia, Piemme, Casale Monferrato, 20004, 227].
La redenzione, quindi, «è totalmente data se Gesù e i cristiani sono insieme presso il Padre, proprio come secondo Mc 13,27 l’elemento decisivo consiste nel fatto che Gesù radunerà i suoi discepoli presso di sé, anche in 1 Ts 4,17 si dice che i cristiani saranno per sempre “con il Signore”» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 503].
«Aderisci dunque a Cristo, se vuoi essere sicuro; non potrai infatti deviare, essendo lui la via. Perciò chi aderisce a lui non cammina fuori strada, ma per la retta via. “Ti additerò la via della sapienza” (Pr 4, 11); mentre di alcuni è detto (Sal 106, 4): “Non trovavano la strada per una città dove abitare”. Inoltre, chi a lui aderisce non può ingannarsi, perché lui è la verità e insegna a tutti la verità. “Per questo io sono nato, e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18, 37). Né può essere perturbato, perché Cristo è vita e dona la vita: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). Poiché dice Agostino, il Signore afferma, “Io sono Via, Verità e Vita, come per dirti: Per dove vuoi passare? Sono io la via. Dove vuoi arrivare? Sono io la verità. Dove vuoi fermarti? Io sono la vita” (Sermones, 142, c. 1: PL 38, 778). “Ne conduce fuori strada”, scrive Ilario, “colui che è la via; ne può illudere con il falso colui che è la verità; ne abbandona nell’errore di morte colui che è la vita” (De Trinit., 7, 33: PL 10, 228)»: Tommaso d’Aquino, Commento al vangelo di san Giovanni /3 (XIII-XXI), T.S. Centi (a cura di), Città Nuova, Roma 1992, 96.
Don Massimiliano Nastasi – Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)