PRIMA LETTURA
Le parole “re” e “regno” sono applicate al Messia e alla sua opera in forza della fede di Israele nella promessa, fatta dal Signore a Davide, di dare alla sua discendenza una regalità eterna… (2 Sam 7).
Il brano di oggi riferisce l’investitura di Davide da parte delle tribù di Israele, dopo che era già stato riconosciuto come re nel territorio di Giuda. Si tratta dunque di una adesione generale: un’immagine della riconciliazione ancora più vasta che realizzerà Cristo.
“Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne”. Il regno di Israele ha origini relativamente democratiche. In quella stessa epoca gli scritti degli altri popoli attribuiscono alle loro dinastie origini divine, fondate su una mitologia. Nella Bibbia Dio fa cercare un re “che segue le pecore”; un’adesione popolare ratifica tale scelta, e viene ricordato all’eletto: “Tu sei uno dei nostri”.
A Cristo, eterno Figlio di Dio, anche noi possiamo dire: “Noi siamo del tuo stesso sangue”.
“Tu pascerai Israele”. Per Davide, l’immagine del pastore s’impone. Un’immagine che tornerà nei profeti e nel Vangelo.
“Davide fece alleanza con loro”. Questo patto reciproco è ricco di valore religioso, perché il vero re di Israele è Dio e la sua alleanza con Israele domina e ingloba quella che può concludere il suo delegato. Da parte nostra ci troviamo l’annuncio della nuova ed eterna alleanza che Cristo-Re sigillerà col suo sangue.
“Essi unsero Davide”. Dopo il giuramento di fedeltà delle tribù, l’unzione significa l’intervento di Dio, che comunica al re il suo Spirito per renderlo capace di adempiere la sua missione. D’ora in avanti il re è l’“unto”, il “cristo”.
SALMO
Il 121 è uno dei “salmi delle ascensioni”, canti dei pellegrini che salgono a Gerusalemme, la città regale. Anch’esso evoca la riunione di tutte le tribù.
Soprattutto riconosce in Gerusalemme il luogo dove si trova la casa di Davide, dove si sale “secondo la legge di Israele, per lodare il nome del Signore”. Significa definire nuovamente il significato religioso della regalità di Davide.
Queste parole vanno riferite alla nuova Gerusalemme, dove regna Cristo e verso la quale si incamminano tutti i popoli.
SECONDA LETTURA
Paolo ne parla non come d’un mondo straniero, d’un aldilà, ma come d’una realtà presente, nella quale siamo “trasferiti” e per la quale dobbiamo “ringraziare”.
Questo regno appartiene al Figlio, chiamato primogenito, perché esiste prima di ogni creatura e tutto è stato fatto “per mezzo di lui e in vista di lui”. In tal modo Cristo si trova collocato a capo dell’intero universo: delle cose visibili e invisibili, della nostra terra e degli spazi interplanetari fino alle nebulose più lontane. Della Chiesa, infine, presentata come suo corpo, e del mondo dei morti, dove pure regna come primogenito. In questo caso, l’espressione significa che egli è il primo risorto.
La storia trova in Cristo il suo compimento: tutto è in marcia verso una riconciliazione totale “per mezzo di lui e in vista di lui” e ciò che realizza “la pace” è il sangue della sua croce.
VANGELO
Dopo le prospettive universali della lettera ai Colossesi, il Vangelo disorienta: questo episodio della passione interessa pochi testimoni e riguarda una sola persona: il buon ladrone! Eppure, c’è un significato profondo che illumina l’intero mistero della regalità di Cristo. Il testo parla infatti di questa regalità, la quale:
– è il motivo della condanna di Gesù: l’iscrizione;
– è il “segno di contraddizione”; bisogna prender posizione, accettare questa regalità o rifiutarla: alcuni tacciono, altri sghignazzano, i soldati prendono in giro. Anche i due ladroni litigano sull’argomento. Uno solo gli si sottomette.
I capi alludono ironicamente a uno dei titoli del Messia: l’Eletto. È il titolo che Luca fa pronunciare dal Padre nella Trasfigurazione. Proviene dal primo canto del Servo (Is 42,1); il Servo “non griderà, né alzerà il tono…
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,2).
È ciò che constateremo col buon ladrone. Anche lui invoca la regalità di Cristo e si mette sotto la sua protezione.
– La risposta di Gesù: in questo modo Cristo esercita il suo ministero di riconciliazione e di pace.
PER ANNUNCIARE LA PAROLA
Dove andiamo? Che cosa sperare dall’avvenire?
Progresso perpetuo o eterno ricominciamento?
“Sole dell’avvenire” o “crepuscolo degli dèi” in una distruzione atomica?
L’ultima domenica dell’anno liturgico ci presenta la storia in cammino verso il suo compimento. Questa storia è dominata da Cristo, primogenito di tutte le creature. “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”.
La storia si muove verso un “compimento totale”, una “riconciliazione”. La nostra vita quotidiana e gli sforzi che facciamo per costruire il mondo devono iscriversi in questo movimento.
Il dominio progressivo dell’uomo sull’universo, sull’atomo come sugli spazi, ci fa intravedere un aspetto della riuscita del mondo. “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3,23). Noi vediamo ciò che manca ancora al compimento di questo programma: l’umile sottomissione degli uomini a Cristo; come per Davide, il giuramento di sottomissione di tutte le tribù d’Israele.
Giorno dopo giorno Gesù è all’opera con noi per costruire il suo Regno.
Come riconoscere il Regno di Cristo?
Il papa Pio XI che istituì questa festa nel 1925 volle così sanzionare il programma pastorale del suo pontificato: “Ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1,10), e pensava già a quello che sarebbe stato l’oggetto delle sue encicliche: il matrimonio cristiano, l’educazione cristiana, l’ordine sociale, ecc.
In seguito alle prove sofferte dalla Chiesa qualche anno più tardi in Messico e in Spagna, il vocabolo “regno” fu deviato dal suo senso spirituale per assumere un connotato partigiano e aggressivo in alcuni cristiani che sognavano un trionfo temporale della Chiesa.
Lo spostamento attuale della festa all’ultima domenica dell’anno elimina ogni equivoco: la regalità di Cristo è anzitutto “escatologica”. Non esiste un partito di Cristo-Re opposto ad altri: Cristo è un re crocifisso che non mobilita le sue legioni in difesa della propria causa. Si presenta nudo e crocifisso, esposto ai motteggi e agli scherni.
Per appartenere al suo Regno non v’è altra strada che quella del buon ladrone:
– l’umiltà: riconoscersi colpevoli: “Noi, giustamente”;
– la fede: “Egli non ha fatto nulla di male”;
– la preghiera: “Gesù, ricordati di me”.
Il prefazio della Messa descrive questo regno spirituale: Regno di verità e di vita, ecc…
Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno C” – a cura di M. Gobbin – LDC