Nel deserto una voce che annuncia la speranza
Lettura profetica e quella evangelica di questa seconda domenica di Avvento sono legate fra loro da una citazione diretta, anche se un po’ corretta nell’impostazione di Marco. L’evangelista introduce la prima pagina del suo vangelo proprio con la prima pagina del cosiddetto secondo Isaia, profeta anonimo dell’esilio babilonese (VI sec. a.C.), la cui opera è stata raccolta nel grande rotolo di Isaia, vissuto due secoli prima. «Una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore», scrive Isaia e Marco gli fa eco: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate…». Entrambi i testi vogliono presentare la figura di un araldo dell’arrivo del Signore: il profeta stesso per Isaia, Giovanni Battista per Marco.
Letture quelle di oggi che ci aprono alla speranza: sta per arrivare il liberatore, dall’esilio per gli ebrei schiavi di Babilonia, dal peccato per coloro che avrebbero accolto il Messia.
E per portarci la speranza cristiana irrompe nella storia un grande uomo, «il più grande fra i nati di donna» lo definisce Gesù, che anticipa nella sua vita la vera grandezza che sarà incarnata dal Messia. È un uomo povero il Battista, vestito di peli di cammello; è un uomo che non ha paura di dire la verità, e per questo sarà ucciso; è un uomo umile: «Dopo di me viene uno che è più forte di me… lui deve crescere e io diminuire». Grandezza coniugata dalla povertà, dalla verità e dall’umiltà: veramente Giovanni è il precursore, l’anticipatore di Gesù.
«Consolate, consolate il mio popolo…» grida Isaia. Anche noi come gli ebrei di Babilonia attendiamo la liberazione dalla tristezza, dall’affanno, dall’incertezza, dalla paura; anche a noi Giovanni Battista dice parole di consolazione, sommersi come siamo da cattive notizie. Basta accendere la televisione, leggere i giornali, non si parla altro che di crisi sanitarie, economiche, catastrofi naturali, omicidi, violenze… è come tuffarsi ogni giorno in un mare di sconforto in cui Dio, con il suo Spirito consolatore, è assente.
Proviamo un po’ a chiudere gli occhi e immaginarci una vita senza Dio: che desolazione, che tristezza! Penso che le persone atee siano gli esseri più infelici sulla faccia della terra. Eppure sembra che il mondo da sempre vada in quella direzione, persegua sadicamente l’infelicità. La nostra fede invece ci apre alla speranza e la speranza genera gioia, non come un anestetico, un «oppio dei popoli», ma come un anelito di amore per una persona, Gesù. La speranza cristiana nasce da un fatto: nacque da Maria Vergine… patì sotto Ponzio Pilato… è risorto il terzo giorno. Senza fede in questo Gesù non c’è speranza.
L’evangelista Marco ci viene incontro oggi con una bella notizia; il suo scritto su Gesù inizia infatti con la parola «vangelo», che significa lieta notizia. Il vangelo, la lieta notizia è lui, Gesù, un personaggio storico, reale, che cambia la nostra vita, che trasforma la tristezza in gioia, la desolazione in consolazione.
L’Avvento è tempo liturgico che è simbolo di tutta la nostra vita, che dev’essere una ricerca continua di Gesù che viene, un innamorarsi sempre di più di lui per trovare in lui la nostra realizzazione, la nostra vera consolazione in questo mondo, per goderlo poi nell’eternità.
A cura di Don Mariano Landini per Toscana Oggi