Senz’altro al centro della liturgia della Parola di questa domenica spicca il motto famoso di Gesù: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», che è entrato nel linguaggio comune, anche se con un errore di fondo; infatti in genere si dice «date a Cesare…», in realtà il dare è molto diverso dal rendere. Rendere a Cesare e a Dio significa ridare a ciascuno quello che è già suo: al primo la moneta, che era sua perché c’era impressa la sua immagine; ciò che invece è già di Dio, con impressa la sua immagine, è l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza. Noi siamo di Dio, gli apparteniamo e lui è l’unico nostro padrone, come ribadisce anche il profeta Isaia nella prima lettura, dove afferma che anche il grande Ciro, che avrebbe liberato il popolo dall’esilio, è uno strumento nella mani di Dio, perché… «Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio».
Da questa considerazione scaturiscono diversi insegnamenti validi per noi oggi. Il primo è che noi cristiani dobbiamo rendere a Cesare… Con questa frase Gesù condanna tutte le tendenze spiritualiste, isolazioniste, intimistiche della nostra fede: noi viviamo nel mondo, anche se non gli apparteniamo e dobbiamo impegnarci perché questo mondo vada bene. L’allegra e continua evasione fiscale praticata senza pudori da molti cristiani, soprattutto benestanti, non è solo un reato, ma anche un peccato molto grave. Inquinare l’ambiente, danneggiare i beni pubblici, violare il codice della strada e, in genere, le leggi statali, sono colpe morali oltre che civili e ne dovremo rendere conto a Dio, oltre che a Cesare.
Il secondo insegnamento è che dobbiamo rendere a Dio… Nessun Cesare di questo mondo, cioè nessun governo, uomo politico, struttura finanziaria, economica, scientifica, idoli vari della moda, dello sport e così via, può vantare diritti su ciascuno di noi e sulle nostre vite. Questa è la grande libertà dei figli di Dio, perché solo se riconosceremo il Signore come nostro unico padrone saremo veramente liberi. Inoltre rendere a Dio significa anche che il cristiano deve rifiutare ogni identificazione di un partito o di un movimento politico col regno di Dio; deve escludere ogni tentazione integralista religioso – politica in cui si voglia identificare il vangelo con un sistema di potere. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, stabilisce saggiamente la nostra Costituzione.
Sulle monete dei tempi di Gesù c’era l’immagine di Tiberio con la scritta «divus et pontifex maximus», una bestemmia per gli ebrei, ma anche per noi cristiani. Tiberio è morto, come i suoi successori, come sono morti gl’imperatori e i re della storia, i dittatori sanguinari del secolo scorso, come moriranno coloro che oggi guidano il mondo, Dio invece rimane per sempre. Facciamo cuocere nel loro brodo i vari Cesari che la vita ci fa incontrare, con quella superiorità morale di chi sa di appartenere solo a Dio e con la consapevolezza che è bello e dolce avere un tale padrone.
A cura di Don Mariano Landini per Toscana Oggi