HomeSolennitàdon Marco Pozza - Commento al Vangelo di lunedì 6 Gennaio 2025

don Marco Pozza – Commento al Vangelo di lunedì 6 Gennaio 2025

Lunedì 6 Gennaio 2025 - Epifania
Commento al brano del Vangelo di: Mt 2,1-12

La curiosità è il soprannome della speranza

Sull’«ermo colle» Giacomo Leopardi raccontò che ci fosse una siepe «che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude». Quando, poi, desideroso di infinito, provava ad immaginare cosa ci fosse di là, per poco il suo cuor «non si paura» lasciò scritto ne L’infinito.

Fissava lo sguardo sulla siepe, immaginava gli sterminati spazi esistenti al di là della siepe, anche la pace profondissima. La realtà, per chi avrà sete, rimane sempre la stessa, del tipo: “Se una dozzina di grilli, al di sotto di una siepe, faranno risuonare il campo del loro strepito inopportuno, non si pensi che quelli siano i soli abitanti dell’intero campo”.

C’è un altrove, dell’altro, c’è la possibilità che un qualcosa abiti al di là di quello che già si vede, di quello che già si conosce. Un qualcosa che, al solo pensarlo o immaginarlo «per poco il cor non si spaura». C’è un infinito disteso davanti a noi: è cosa lecita sperare di toccarlo, anche di conquistarlo.

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Non immaginava, forse, Leopardi che, un giorno, quell’infinito potesse fare breccia nell’uomo stesso, scegliendo di accasarsi presso un numero civico vicino a quello dell’uomo: «Il Verbo di Dio si fece carne e piantò la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14), invece. Non era affatto limitato il Leopardi: solo che – avrà avuto i suoi motivi – non osò, forse non s’azzardò, ad oltrepassare quella siepe per andare a vedere cosa ci fosse al di là delle siepe.

Figurarsi, poi, se lui poteva immaginare che ciò che stava oltre la siepe – l’infinito, per l’appunto – un giorno fosse lui a oltrepassare quella siepe. Accadde, invece. Natale è questo, non è nient’altro che questo: l’infinito che scavalca la siepe per venirci incontro.

Gaspare, Melchiorre e Baldassarre – passati alla storia come i Tre Magi di Oriente – non avevano particolari talenti: avevano fatto di una passione, quella per l’astrologia, la ragione della loro vita. Fino a far togliere il cappello, come gestualità di stima, a chi li incontrava.

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Riempiti dalla gloria della fama, non persero però la fame: rimasero, in fondo al cuore, dei bambini affamati, ancora capaci di giocare con l’incantesimo delle stelle: “Avessimo scoperto una nuova costellazione o un nuovo pianeta, ma non ci battesse più il cuore, cos’avremmo guadagnato?” disse Gaspare a Baldassarre.

Melchiorre, lì accanto, s’illuminò d’immenso: “Non c’è nulla di più bello d’una chiave finchè non si sa cosa apre. Ma poi, per cosa si stupirà il nostro cuore?” Pur sapienti e riveriti, mai accettarono di spegnere in loro la curiosità: “E se esistesse dell’altro oltre a ciò che già conosciamo?”

Quando la gente li vide incamminarsi, si erano già disfati di ciò che era loro famigliare. Si erano già scomodati dalle loro dimore – «Alcuni Magi vennero da Oriente a Gerusalemme» – per andare a vedere che cosa ci fosse oltre quella siepe: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

Anche Erode, il macellaio di Gerusalemme, aveva intravisto la siepe. Ma non la cavalcò: «Andate, informatevi (…) fatemi sapere» disse ai Magi. Diversamente da quei tre, il macellaio non accettava di guardare le cose diversamente. Il reale gli infondeva troppa sicurezza: s’era fatto immobile nel tempo.

D’altronde è storia risaputa che milioni di persone abbiano visto una mela cadere: Newton, però, è stato quello che si è chiesto perchè una mela cadesse. La curiosità resta una delle caratteristiche particolari di un cervello attivo, di un cuore che brami ancora trovare ragioni per battere sempre più forte.

Cavalcata la siepe di ciò che tutti vedevano, ciò che videro quei tre prima di loro l’avevano visto soltanto i pastori, per grazia divina: «Videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono, lo adorarono». Era elevatissimo il rischio di farsi ridere dietro dal mondo loro familiare: “Quale vantaggio rischiare la faccia dopo essere arrivati dove sono arrivati loro?” borbottarono in Oriente vedendoli partire per quello strano viaggio.

Loro, inquieti come cavalli prima di un temporale, mai si sarebbero perdonati d’avere scavato per settantasette metri sotto terra, fermarsi, per poi scoprire che l’acqua era a settantotto metri. Rischiarono con la curiosità e vinsero la paura più di quanto avrebbero potuto fare con il coraggio.

E fu così che la curiosità divenne il soprannome della loro speranza.

Buona Solennità dell’Epifania

Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte

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