«E’ nato»
«E’ nato» sono due parole infilate come perle da mani d’artista, un grido d’innamorato intonato al chiaro di luna, l’annunciazione degli angeli al pastore con il suo doppio petto di pecora addosso. Di più: «è nato» è lo sposalizio di due parole che vivranno a lungo insieme. Così forte e a lungo insieme da far nascere tutte le altre parole di nascita al mondo: «E’ nato, Maria», confida Giuseppe alla sua sposa con le sue belle guancette paffute da contadinella.
«Davvero, è nato, mio Giuseppe», reagisce la gran Donna all’uomo che, gambe a cavalloni, se ne sta in disparte a contemplare questo miracolo. «E’ nato» si dicono l’uno all’altra: e a noi, di rimando, resta questa stranissima conversazione tra due umani dei quali cogliamo soltanto l’eco dei loro sbalordimenti, gli indizi di una vita ancora lunga da capire, i preludi di una strana (dis)avventura che detterà ritmi e stagioni a tutte le altre avventure di quaggiù.
«E’ nato» continuano a ripetersi: quando quei due non si aspettavano nulla – e forse proprio perchè, non aspettandosi nulla, erano pronti al tutto -, è cominciata la partita. Continueranno a parlarsi tutta la notte senza dirsi granché: basta così poco per salvare una giornata. Lui è nato e crescerà dentro a questo incanto che ti regale la povertà quando sposa la miseria: basta davvero poco più di niente per cambiare una giornata nata storta.
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Lui, Colui chè «è nato», tace: tutt’al più regala dei vagiti di neonato, starnuti di chi inizia ad infilare l’aria fredda nei polmoni, piccoli movimenti tellurici di carne e di ossa: basta questo – un giorno basterà la sua voce, senza la minima fatica di forzarla – per fare arrossire persino gli angeli che alla sua nascita intonano canti a gogò. Stanotte, invece, basta il suo sorriso, è un’esca di quelle luminose: è sceso sulla terra per attirare il mondo a Sè.
Già soltanto il suo soprannome – l’Emmanuele (“Il Dio con noi”) – è una garanzia della bontà di colui che è appena nato: non sarà un avversario, un concorrente, un nemico da affrontare a spada tratta. E’ l’uomo nato al mondo per insegnare a declinare il complemento di compagnia: “Con noi, a nostro favore, in nostra compagnia”. È il complimento natalizio più bello che mai sia stato scritto da mani d’uomo: «Un Dio, amico mio, Dio si è scomodato per me, Dio si è sacrificato per me. Ecco il cristianesimo» (C. Péguy).
Scomodarsi dice tutto: premura, fretta, sollecitudine, sveltezza, rapidità, zelo, agilità. E, una volta accomodatosi in mezzo a noi, sarà suo godimento puntare il dito addosso alla vita che ci viene addosso senza nemmeno che noi ce ne rendiamo conto, da quanto fusi siamo: «Il regno di Dio è vicino» ci dirà col cuore in gola, come un innamorato che soffre nel non vedere sorridere la gente al passaggio della sua innamorata: “Ma come fate, miseria, a non accorgervi di quant’è bella la mia donna?”
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Ogni tanto Giuseppe stringe la mano al suo Gesù, anche Maria lo imita: stringere la mano, per loro due, è come mettere le dita dentro una presa elettrica e avvertirne subito l’intensità che circola sotto la pelle dell’altro. C’è un qualcosa di unico che appare in questa stalla, abituata al raglio degli asini, alla puzza dello sterco, al boato del bue: c’è che questi due, la Madre e il padre del Cristo bambino, a loro insaputa stanno facendo adorazione eucaristica notturna, la prima adorazione eucaristica della storia. E lì, davanti ad un chilo poco più di carne, meditano sulla loro vita alla luce del Dio: una luce molto più potente e concentrata di quella del sole e di tutte le stelle unite assieme.
Il suo sorriso – avrà pur loro regalato un sorriso come impronta del primo Buon Natale della storia cristiana – dev’essere stato simile a quello dei fiori: una fiammata e via, una fiammata per niente, per nessuno, se non per loro due soltanto. Per me da solo: quando lo guardo, mi accorgo che porta cucita addosso una fretta boia per raggiungermi.
Al punto che gli va bene tutto pur di raggiungermi: anche di sedersi nella stalla della mia anima e lì, una volta accomodatosi, mandarmi in onda in diretta la meraviglia. Accendere la luce sulla stanza del mio cuore. «E’ nato, Marco»: di rado ho incontrato nelle righe di un libro un verbo così luminoso di sole e vita. Un verbo la cui semplicità ti toglie il fiato, ti fa esplodere letteralmente il cuore. «E’ nato»: anche se il mondo non se ne accorge, Lui è nato per il mondo.
Che non è mai pronto alla nascita d’un bambino.
Buon Natale!
don Marco Pozza
Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte