L’apparenza inganna
E’ l’apparenza che incanta. O, tutt’al più, l’apparenza ti incarta: «Tanti ricchi ne gettavano molte (monete)». Poi, appena la scarti, eccola la fregatura: «Tutti hanno gettato parte del loro superfluo». Al finire della sua non-carriera di Rabbì, Cristo ai discepoli lancia un ultimo monito: “A chi, un giorno, vi dirà di fermarvi all’apparenza, voi rispondete che scendete alla successiva, alla sostanza”. Non fosse altro per una mera questione di furbizia: è solo chi vive di apparenze che, un giorno, potrà venire ingannato dalle apparenze.
Ingannati ad oltranza anche se, da bambini, l’abbiamo tutti sperimentato sulla nostra pelle: son sempre le più generose le persone che hanno meno possibilità. Le mance, nel bel tempo della nostra infanzia, arrivavano sempre dalla gente più povera. Se non erano soldi erano comunque cose da mangiare: una gallina, quattro uova, due finocchi. Non fosse mai che i bambini, quando consegnavano a domicilio qualcosa, ritornassero alle loro case senza aver fatto esperienza di generosità. C’era anche chi dava poco, è vero. Anche chi non dava assolutamente niente: rispondeva a malapena dal citofono, chiedendo di lasciare lì la roba che poi sarebbero scesi a prenderla.
La vedova – benvenuta, piccola donna! – è un levriero: “Dovrei forse fare di tutto per diventare un pechinese? No, sono un levriero io!” Il suo segreto – l’arcano che la spinge nel più alto dei cieli – è tutto lì: essere se stessi, senza la vergogna del giudizio altrui. Nessuno si accorge di lei. Magari, vedendola con il suo fazzoletto nero ad avvolgerle la testa, qualcuno le avrà riservato un qualche dispetto, una mezza battutina, un ghigno di commiserazione. Il che, badate, non è che servisse: già la vedovanza era un pesuccio non indifferente da gestire sotto gli occhi di tutti. Alla mercè di tutti. La gente, però, è cattiva.
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Più che cattiva, la gente ha fretta: di incasellarti dentro un clichè, di avere sotto controllo la tua situazione, di farti i conti in tasca. Non ha tempo per entrare dentro casa, sedersi, ascoltare la tua storiaccia. “Sembra a me, sai. Non le ho chiesto, ma da quello che vedo mi pare proprio di non sbagliarmi” si dice quando si vuol darsi la ragione senza l’avvallo della realtà. Eppure la vita insegna che niente è come sembra: «Venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo».
Niente è come sembra, anche se il sembra (per i frettolosi) alcune volte è bellissimo. Cristo, invece, ha l’impazienza di scendere sempre alla stazione successiva, quella della sostanza: «Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri». I conti, comunque, non tornano: valgono, forse, più due monete di un pezzo da cinquanta, cento e più, magari messi ben in mostra prima che vadano a cadere nella cesta? “Si può sapere da te, Cristoddio, il nome della prof che t’ha insegnato economia?”
Non è questione di matematica, ma di grammatica, quella elementare fatta di aggettivi e sfumature. “Tanto” è un aggettivo indefinito, indica una quantità che può variare da poco a troppo. Il suo indice di quantità è indeterminato: «Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo». “Tutto”, invece, è un aggettivo dal valore collettivo, indica una quantità intera. Tutto è il tutto, mai solo una parte, seppur la più grande: «Lei, invece, nella sua miseria vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (cfr Mc 12,38-44).
Mi piace pensare che almeno Cristo si accorga che, anche solo una volta in vita, amare possa essere un atto di generosità, non un bisogno da esaudire. Insomma c’è chi mangia le banane e chi, invece, fermandosi alle apparenze praticamente vive mangiando le bucce. Sta di fatto che le persone veramente generose non sono quelle che danno molto ma che danno tutto, un qualcosa a cui ci tengono.
Cristoddio, vedendola, impazzisce al punto tale da metterle addosso una lente d’ingradimento: che tutti la vedano, che tutti vedano dov’è nascosto il Regno, che il mondo s’accorga che i lavori sono già in corso d’opera. Saranno infinitesimali, indifesi, fragili: ma ci sono, ed è questo ciò che conta. Che serve, d’altronde, essere belli con il trucco di un’App se poi servirà un’audioguida per riconoscere chi siamo?
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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