Tutti giù dal letto!
In quel di Betania, giusto il tempo in cui Cristo stette con loro, fecero come le talpe: misero fuori la testa. Per vedere che tempo faceva, per cercar di capire se ce l’avrebbero fatta, per tentare di fargli cambiare idea: “Perché te ne vai una volta ancora, Cristoddìo? Resta con noi, ti preghiamo: già ci tremano le gambe!” Non ottennero affatto ciò che speravano: Lui se ne andò dritto per la sua strada, dritto verso il Padre.
Non fu un gesto di cafoneria, assolutamente: fu il modo più gentile per dire che lui gli alimenti li avrebbe pagati, che non si sarebbe sottratto alle sue responsabilità, ma che loro dovevano rimboccarsi le maniche. “Basta la vita a rimorchio, gente! Io parto: vi manderò lo Spirito che «vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto». Nemmeno la scusa per poter dire che, tra una cosa e l’altra, si erano dimenticati di segnarsi qualche appunto: ci penserà lo Spirito a fare come da promemoria alla loro poca voglia di mettersi in gioco.
Quando partì, perchè a conti fatti Lui partì, si sbizzarrirono per qualche istante. Accesero la fantasia, ma partorirono un topolino: “Poteva anche restarsene con noi!” Altri furon presi da un certo struggimento, tendente alla depressione: “Adesso, gente, chi ci toglierà le castagne dal fuoco?” Qualcuno, va detto, tentò di rimboccarsi le maniche: “E se toccasse a noi, invece che lamentarci, portare avanti quello che il Rabbì ci ha insegnato?” Troppo difficile prendere l’iniziativa: preferirono fare un po’ gli offesi, mettendosi sull’offensiva. O, tutt’al più, sulla difensiva: con la scusa della paura.
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Quando arrivò su e guardò giù, le talpe erano (già) rientrate nelle tane. “Tutti dentro!” si convinsero. Lui, invece, aveva incitato al contrario: “Tutti fuori: all’assalto!” Lo delusero Cristoddìo? Nessuno si azzarda a pensarlo: certamente, quando con loro ruppe il ghiaccio – lo ruppe dopo quel venerdì da catafascio – credeva di trovarci sotto il fuoco. Invece trovò della brace spenta, dei cuori pavidi, della gente flaccida come budini. Non si preoccupò più di tanto, anche se Mamma gli aveva insegnato che a soffiare sulla brace già spenta, invece che riaccendere il fuoco, si corre il rischio che la faccia si annerisca. Se ne infischiò delle regole della fisica e della chimica: tentò l’assalto, per l’ennesima volta, per non tradire la sua innata testardaggine.
Giusto il tempo d’arrivare dal Padre, insieme concordarono la strategia migliore perchè la loro azienda andasse avanti da sola: mandarono lo Spirito Santo che, senza far loro da stampella, si mettesse loro accanto, stimolandoli all’azione. Non Gli importò che si fossero rinchiusi come talpe dentro un cenacolo: sferragliò delle saette di fuoco che, indomabili, si piombarono diritte sulle loro testine e, senza che loro potessero fare granchè per arginarle, misero a ferro e fuoco quelle anime così restìe a prendere l’iniziativa. “Tanto fumo e poco arrosto!” dicevano in giro a quei tempi, vedendoli così flaccidi dopo la grande delusione del Calvario. Non poteva accettare questo, il Risorto: tolse il fumo e lasciò la fiamma, perchè il fuoco non ha più fumo quand’è diventato fiamma. Li accese, perchè s’eran semplicemente spenti. Tutto qui: capita. E’ capitato, capiterà: è l’amore, ai tempi del colera.
Tutti fuori, dunque; di colpo, tra l’altro: lo Spirito fu una cannonata di vita, una trasfusione d’energia, un’ubriacatura di creatività. Non si riconobbero più da quant’erano cambiati. Il fuoco – lingue, non linguacce! – si posò sulle loro teste, non sulle dita, sulle spalle, o sui talloni. Sulle teste, giacchè l’uomo assomiglia al pesce: come il pesce inizia a marcire dalla testa, così è dell’uomo e della donna quaggiù.
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S’inizia a marcire dai pensieri, dalle apprensioni, dalle idee: perciò lo Spirito diede fuoco alle teste. Fu un principio attivo di reazione, scombussolò le agende, mise gambe all’aria la loro mestizia. Quelle teste non eran così virtuose come davano a vedere: fecero di necessità virtù. Nacque così la Chiesa di Dio: fu un brusco risveglio, una sberla sotto le coperte, il plaid strappato via. Certe volte Dio è proprio mamma: o si fa così, o si perde il bus per andare a scuola.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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