Li ha creati praticamente uguali, Iddio, il sale e lo zucchero: “E’ che volevo divertirmi, ogni tanto, facendo quattro risate!” risponde a chi, oltre alla faccenda delle zanzare fatte salire sull’arca di Noè, Gli rinfaccia che, almeno, quel giorno avrebbe potuto fare in modo che il sale e lo zucchero non si confondessero così facilmente. “Che schifo, cavoli! – rinfacciai a mia mamma, anni fa, mentre stavo facendo colazione -: il Mulino Bianco ha iniziato a fare le macine col sale?” dissi scocciato. Non mi ero accorto di aver messo, invece che lo zucchero, il sale nel the. Lì per lì m’arrabbiai assai ma, riflettendoci a posteriori, quel giorno imparai che l’aspetto è molto ingannevole.
Fu una delle prime lezioni da autodidatta sul cristianesimo: basta poco per confondere il sale con lo zucchero. Per sbagliare la destinazione d’uso delle nostre esistenze: «Il cristianesimo non è il miele del mondo – scrisse Bernanos, romanziere d’Oltralpe -, ma il sale della terra, nelle cui ferite brucia». Con le parole, letterali e testuali, del Cristo: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?» La sfida, senz’accorgerci, ce la rilanciamo più spesso di quanto ce ne accorgiamo quando, seduti ad un tavolo, d’improvviso chiediamo aiuto: “Scusami, non è che mi passeresti il sale, per favore?” E’ sempre quel pizzico di sale in più o in meno che fa la differenza: il sale, di per sé, ha un solo gusto, ma quando viene messo sul cibo ne possiede migliaia. Cristo, quel giorno, non fece un esempio a caso.
Una vita tutta dolcezza? “Che farsene: mi parrebbe una cosa abbastanza insulsa” potrebbe risponder il Cristo dei Vangeli. “Ma il sale è amaro, Maestro?” ribattiamo volentieri noi, professori ad honorem delle scuse. “E’ amaro se viene preso da solo – potrà rinfacciarci il Rabbì –: se lo metti in una pietanza, invece, l’amaro diventa sapore”. Dunque? Semplicissimo: meglio essere saporiti come il sale che dolci come lo zucchero. Perchè se il sale diventa zucchero, perdendo il sapore, «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente». Il non detto, fuori di metafora, è pauroso anche solo a leggersi, figurarsi a sentirlo dire a noi, di noi: un cristiano che non inquieta nessuno, è un cristiano che verrà calpestato. Che avrà smarrito per via la sua ragione di vita: “Il vostro problema – dice Dio al mio tempo – è uno solo: che non infastidite più nessuno. Che non siete più un problema per nessuno di quelli che incontrate”. Una volta perduto il sapore, tutto il sapere dell’uomo non riuscirà a riaccendere l’acquolina in bocca.
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Che la gente, incontrando un cristiano, non riesca a non dire: “Son rimasta di sale incontrandoti!” Vorrebbe dire che il sale è diventato contagioso, facendo sorridere Iddio stesso. Che, con la ciurma di amici – come se non bastasse la sventola del sale – preme sull’acceleratore: «Voi siete la luce del mondo; non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa».
In materia di luce e affini, so sempre che sto parlando con un giardiniere o con un fotografo se, in un qualsiasi momento, sanno indicarmi dove sta la luce. Dopo l’augurio del sale, ecco il manifesto per un cristianesimo della luce: “Un sorriso, gente! – ammonisce Iddio ai suoi -. Una letizia sul volto sarà come una luce nella finestra delle vostre anime: alla gente che si avvicinerà, dirà che siete a casa”. Perchè, quando cala l’oscurità, la luce continuerà a brillare solo se è rimasta accesa dentro. Parole semplici, parole di sale ed elettricità, di luce e di sapore, di consolazione, di contraddizione. Non di quiete, questo no: è una legge della tavola che lo zucchero non serva a niente quando è il sale che manca. Il cristianesimo, per Cristoddio, pare esser davvero tutto qui: sale che insaporisce la carne sulla quale viene fatto cadere. Luce che, entrando dalle vetrate di qualunque casa, mette in corsivo ogni cosa che tocca.
Saranno sorrisi che bruciano come il sale, quelli cristiani: e poco importerà se, attraversandoti, ti bruceranno un po’ le ali. Diventeranno una riserva di luce.
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Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte