Un Dio orecchiabile
Quando s’avvicinano, di solito, gli scribi s’avvicinano per allontanare Cristo da loro, dalle loro comode consuetudini: sono uomini-tranello, professionisti con domande affilate, trappole ovunque. Scribi-e-farisei, nei Vangeli, è associazione a delinquere di stampo disumano: resta l’accoppiata più pestifera di tutte quelle incontrate da Cristoddìo nel suo cammino quaggiù. Stavolta, però, è l’eccezione che conferma la regola: lo scriba che Gli si avvicina – «In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi» – non è per nulla malevolo, non ha nulla di disdicevole il suo comportamento, “non sembra nemmeno uno di quelli”.
Ai giochi di parole, che li han resi delle celebrità insopportabili, non è per nulla interessato. Gl’interessa il nocciòlo della questione: «Qual’è il primo di tutti i comandamenti, (Maestro)?» Il suo è interesse per (dav)vero: gl’interessa capire, sentendoselo confermare dalla fonte stessa, qual’è la strada più sicura per giungere a Cristo. Perchè quando l’acqua arriva al collo, il sogno di nuotare diventa esigenza. E’ il grande giorno di questo scriba: per noia, forse, di ciò che ha e per desiderio di ciò che gli manca, denuda il suo cuore e si intestardisce nel vedere come funzioni davvero il Regno di quel Rabbì tanto strano e insopportabile quanto impossibile da scansare.
Chiede, dunque, perchè chiedere è lecito. E il Re, che non è avvezzo a menare il can per l’aia, risponde alla domanda, perchè rispondere è buona creanza: «Il primo è: “Ascolta, Israele”!» Non è l’amore, dunque, la prima cosa che Cristoddìo chiede allo scriba inquisitore: non è l’oggetto della materia che mette in capo alla sua risposta, ma la condizione che renderà plausibile questa richiesta. Ascolta, dunque! E’ il ragionare della donna della casa, di nonna, di chi cerca di farti arrivare alla risposta da te. “Vieni qui, ascolta un attimo, per favore!”: quante volte abbiamo udito quest’invito incanalarsi nelle nostre orecchie, infilarsi nell’udito come dentro un galleria per prendere la rincorsa.
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Perchè credere, prima ancora che obbedire, è ascoltare: perchè i comandamenti verrà spontaneo rispettarli nella misura in cui mostreranno d’esser conseguenza di qualcosa di più grande. “Ascolta, porgi l’orecchio, metti qui l’udito – pare dire Cristo allo scriba curioso e fanciullo -: che cosa ti pare?” Shemà, Israel! avvertì il Dio di Mosè sul Sinai: anche quella volta Dio diede un colpetto all’udito per risvegliare il cuore d’Israele birichino. Anche quella volta, prima dei dieci comandamenti, Dio chiese di ricordare da dove arrivavano come tribù: “Ascolta, amoremmio: eravate un’orda di straccioni e di beduini quando vi ho conosciuto.
Guardate cosa siete diventati dopo quarant’anni di bisturi dentro il deserto: vi siete fatti così belli che il mondo vi conosce come il popolo-della-bellezza. Vedete voi: dove sareste oggi se non ci fossimo incontrati laggiù e non vi avessi preso per mano?” Non comanda affatto di amarlo,ma fa loro memoria delle cose che sono cambiate frequentandosi. Sarà la memoria del cuore, poi, a dettare loro legge e traiettoria: “Vabbè – fiuta il popolo nel cuore -, se le cose stanno così, allora è inutile dire che ti ameremo a più non posso, Dio”. L’ameremo di getto, di petto: «Con tutto il cuore, l’anima, la mente, la forza» (cfr Mc 12,28-34). Verrà spontaneo: “Dopo tutto quello che hai fatto per noi, sarà il minimo custodirTi in noi”. Amare l’uomo, l’immagine ambulante di Dio in città.
La fede, insomma, non nasce dal cuore, con buona pace delle anime pie e romantiche della messa prima. Nasce dalle orecchie, si cala giù dritta per i timpani, fa della tromba di Eustachio il suo scivolo: «Amo ascoltare – scrisse Hemingway -. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente. Molte persone non ascoltano mai». Perchè ci vuole coraggio per alzarsi e parlare, ma ce ne vuole di più per sedersi e ascoltare. “Ma come fai tu a ricordarti sempre tutto?” chiesi un giorno alla mamma della mamma, ch’era nostra nonna.
“E’ semplice – mi rispose -: ascolto!” Imparai lì, tra bucato e minestrone, perchè Cristoddìo prima dell’amare chiede l’ascoltare: fare per Dio, senza la memoria di ciò che Dio ha fatto per noi, è autolesionismo, illusione dannosa di potersi comprare Dio e la sua scuderia. Avvertire l’esigenza di amarlo dopo essersi ascoltati, invece, è il minimo da fare.
Dopo il massimo già fatto da Lui.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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