Eppure
L’hanno trattato da bestie, lasciandolo morire da solo come un cane. Però, nei bei tempi, l’hanno usato a dismisura per farsi gli affaracci loro: sembravano degli impresari dello spettacolo che trattavan il Cristo come fosse il loro numero di prestigio. Quando, però, giunse l’ora di metterci la faccia per prendere le sue difese, fuggirono con la coda tra le gambe.
Lui, avvezzo ai dispiaceri, non diede l’impressione di scandalizzarsi più di tanto: nel “preventivo di spesa” per tentare di salvare gli uomini, aveva calcolato la variabile più stramba: che gli uomini non volessero salvarsi. Pagò Lui tutto: sul Calvario, sgozzato come un agnello sotto le grinfie del macellaio, disse (senza dirlo) di non preoccuparsi. Lui, al netto del trattamento ricevuto, non avrebbe cambiato l’idea: “Nessun problema: i vostri debiti li saldo tutti io, come promesso all’inizio”. Lo disse e lo fece: la morte se lo inghiottì sotto gli sberleffi di una città menefreghista, degli amici fuggiaschi.
Poi, però, ritornò. E s’accorse subito ch’era ancor più difficile, per gli amici, credere ch’era risorto piuttosto che credere ch’era morto stecchito. Per quaranta giorni suonò a tutti i campanelli delle case amiche: “Eccomi, son tornato! Come state?” Loro, cuori di granito, a fissarlo con sguardo idiota: “Chi sei? Noi due ci conosciamo? Scusa: mi sfugge qualcosa?” Sfuggiva loro l’unica cosa che fece di Dio un Uomo maiuscolo: che non è sempre vero che partire è un po’ morire. A volte partire è rinascere: “Mi piace sbattere la testa contro le cose impossibili – pensò Cristo nuotando nella loro incredulità -: si vede subito, facendole, chi scappa, chi resta, chi ci prova”.
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Scapparono tutti, restò solo quella grandonna di sua Madre, con Giovannino che la teneva stretta per mano. Sudò sette camicie per far comprendere loro ch’era risorto, per mostrare che aveva riservato loro il meglio di Lui: siccome, loro, gli avevano riservato il peggio, Lui aveva deciso di ritornare e di restare con loro. La qual cosa, molto lentamente, li confortò dopo la sberla della morte: si ripresero, la sua presenza fece loro da riabilitazione, tornarono a camminare prima a gatto-miao, poi appoggiandosi a Lui, poi con la stampella, poi da soli. S’illusero che, dopo tutto, sarebbe sempre andata avanti così: “Finalmente un po’ di pace!” Non dovette pensarla così anche Iddio.
Che, conclusa la riabilitazione dei loro cuori feriti, «li condusse fuori verso Betania»: pensavano, loro, d’essere tornati a vivere a rimorchio dell’amico! Non s’accorsero, manco stavolta, che scorger lo striscione del traguardo è una cosa bellissima, ma posizionarsi nella linea di partenza ha un che di sublime. Fu così che, fissati un’ultima volta, se ne andò di nuovo: “Devo andarmene, altrimenti la mia gente non si rimboccherà mai più le maniche. Ho come la netta sensazione che questi m’abbiano scambiato per un sussidio statale” deve aver pensato tra sé.
Non fu un abbandono, però: anche se loro, esperti nel piangersi addosso, lo lessero come tale. Siccome darsi per latitante è la specialità di Satàn, Lui fece loro la magia di rimanere, seppure in un’altra maniera: «Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso». Avrebbe avuto mille motivi validissimi per andarsene per sempre. Ne aveva solo uno per restare: il fatto che, alla fine, se li era scelti lui quegli amici, così fragili d’apparire quasi imbecilli se non fosse stato per il fatto ch’era lui l’addestratore dei loro cuori. E quest’unico motivo, col cavolo che se l’era scordato nella tomba, aveva degli occhi bellissimi. I loro.
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Per questo, prima d’andar via, «li benediceva». È burlesco agire così: loro l’hanno maledetto, hanno detto-male di Lui. Lui, come ultimo gesto, riservò loro la benedizione: disse-bene di loro. Nonostante tutto. E lasciò loro le mani a mò di pensilina, per le loro testine sciancate: che, in caso d’intemperie, avessero un tetto dove ripararsi. Non se ne andò del tutto, dunque: semplicemente appese il destino finale di Sè stesso alla friabilità degli amici. Un azzardo così nessun Dio l’avrebbe mai corso. Lui sì, invece. Perchè conta chi resta, il resto non conta.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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