Stessa è la forbice diverso è il destino
Il fuoco, stavolta, è spazzatura: «(Il tralcio secco) lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano». Perchè il nemico della vite non è mai il brutto tempo: è la pesantezza del tralcio che si è messo in testa di continuare a sopravvivere vivendo a rimorchio. Non è, dunque, una sorpresa – non dovrebbe essere una sorpresa -, l’arrivo della forbice: “Se ti ho tagliato fuori dalla mia vita, fermati e pensaci: probabilmente le forbici per farlo me le hai passate proprio tu” scrive una ragazza su un suo diario social.
L’agricoltore sa bene che, ai fini della salute della vite, i pesi morti non giovano: un tralcio che volesse mettersi in proprio tagliando i ponti con la vite, è un tralcio che firma da sè la sua stessa condanna. Una vita inutile è una sorta di morte anticipata quando, invece, il morire non è mai inutile se si conosce il motivo per il quale si muore: «Diventare inutile, quello si è un dispiacere» (O. Fallaci). La forbice nelle mani di un agricoltore, dunque, non è motivo di stupore: quando lui taglia, non fa altro che mettere la firma sulla decisione già presa dal tralcio.
Una decisione tra le due possibili, visto che la terza non è data: quella di rimanere attaccato alla vite e portare frutto, oppure di recidere il cont(r)atto con la vite, seccarsi e dare alla forbice l’occasione giusta per alleggerire la vite. Che, se potesse parlare, non potrebbe dire parole diverse: “Volevo dire a tutti i tralci che sono pieni di sé al punto d’andarsene per conto proprio, che siete diventati un po’ troppo pesanti”.
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La vite ha tanta pazienza: al tralcio, però, viene chiesto di non approfittare della pazienza della vite perchè se è vero che è l’ultima a stancarsi è anche la prima, poi, a non avere più ripensamenti. La vite ha dei biglietti-fiducia a lunghissima percorrenza: resta il fatto che sono biglietti di sola andata.
Eccolo, dunque, l’agricoltore che entra nel vigneto con la forbice in mano: assieme alla vendemmia, è il momento massimo di vicinanza tra il vignaiolo e la vite. E’ la stessa forbice quella che tiene in mano, anche se il risultano è diverso, anche opposto. Ci sono dei tralci che taglia perchè, dati alla mano, sono diventati pesi morti, una sorta di parassiti della vite: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia».
E ci sono tralci che, invece, taglia a fin di bene perchè, dati alla mano, mostrano d’avere voglia di diventare grandi con la vite: «Ogni tralcio che in me porta frutto, lo pota perchè porti più frutto». Non è questione di stare più o meno simpatici al vignaiolo: è che, essendoci di mezzo la linfa, non può accettare che la vada consegnata inutilmente.
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È la versione vinicola della raccomandazione agricola: che non vengano date perle ai porci ma ci si ricordi bene che per salvarsi non basta che qualcuno ci venga a salvare. È necessario volersi salvare. Per questo il vignaiolo dice: “Ci sono presenze che finiscono per diventare più pesanti di certi abbandoni”. Presenze-rimorchio: «La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere più utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente» scrisse Raul Follerau.
Non spetta, dunque, all’umore del contadino decidere dell’uso della forbice che tiene in mano: se verrà usata per tagliare e gettare via o per potare perchè raddoppi la potenza. Lui, quando passerà di fronte alla vite, non farà altro che mettere la firma su quello che il tralcio ha già deciso di fare: rimanere attaccato perchè “questa, alla fine, è casa mia”.
Oppure fare le valigie e andarsene perchè “questa casa è diventata peggio di una galera”. Più una vita è vuota, pensando di essere piena, e più diventa pesante: è l’insostenibile pesantezza di amori che si sono vissuti con troppa leggerezza. Ritrovare quella leggerezza è un lavoro pesantissimo. Salvare la leggerezza della vite è il lavoro del vignaiolo: “I chili di troppo che vorrei perdere – bisbiglia la vite al suo vignaiolo di fiducia – sono i tralci pesanti”.
Perchè anche nella vigna il problema non è cercare qualcuno col quale invecchiare insieme ma trovare qualcuno con il quale rimanere bambini.
Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte