don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 26 Giugno 2022

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Un cristianesimo nervosetto

La fanno facile, stavolta, gli amichetti di Cristoddìo. La fanno così facile che fanno la pipì fuori dal vaso: completamente. Tutto pare nascere da una presunzione: quella di essere degli intoccabili, una sorta di complesso di superiorità per la semplice faccenda d’essere discepoli del Rabbì.

Si scordano, viziatelli come sono, d’essere stati chiamati non per meriti ma per necessità: erano, forse, quelli più a rischio di andare a perdersi. Per questo Cristo decise di tenerseli vicino, di affittare la loro debolezza per far brillare la sua potenza. Scordato questo, salta tutto: da fuori ti sembrano anche delle brave persone, ma a scrutare i loro pensieri somigliano a dei congegni programmati per distruggere coloro che, per svariate ragioni, non la penseranno come loro. Come quando, prossimi ad un villaggio, si sono sentiti dire dai preposti per la sicurezza che non avrebbero concesso loro il visto per l’attraversamento della loro terra.

Apriti cielo: “Voi non sapete chi siamo noi! Ve ne pentirete presto! Adesso chiamiamo noi la persona giusta e si sistema la faccenda. Vedrete che i dentisti, in paese, lavoreranno anche domenica”. Stanno facendo l’orlo ad una crisi di nervi gli amici del Cristo: pensavano, nel nome del Figlio, di trovarsi ogni porta aperta, con il tappeto rosso, i calici di champagne. Invece, stavolta, trovano il due di picche ad attenderli. Un dietrofront: «Ma essi (i samaritani) non vollero riceverlo, perchè era chiaramente in cammino verso Gerusalemme». Non c’è santo che tenga: stop, di qui non si passa.

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Loro, che sono i primi cristiani, invocano dritti la censura massima ch’è lo sterminio, come Catone il Censore la invocò fulminea su Cartagine. Quest’ultimo giurò: «Chartago delenda est» (“Cartagine dev’esser distrutta”). Loro stanno sulla falsariga: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» Chi si è messo di traverso alla loro galoppata trionfale, ha la colpa di raccontare la vita in maniera diversa da come la stanno raccontando loro: ma è la stessa vita, anche se raccontata in un un modo diverso.

È Cristoddìo medesimo a mettersi di traverso alla loro rabbia, lo stesso che pensavano sistemasse la faccenda come sognavano loro. Invece picche anche da Lui, anche stavolta: «Si voltò e li rimproverò». Orecchie basse e galoppare: “Non scordate mai – sembra essere il nocciòlo del rimbrotto di Lui a loro – che ognuno di voi è unico.

Esattamente come tutti gli altri”. Bastarono loro queste semplici parole perchè capissero al volo che erano riusciti a fare saltare i nervi al loro Maestro. S’innervosirono ancora di più per il mancato esaudimento dello sterminio? I Vangeli tacciono, ma è una legge di natura: credi di essere calmo fino a quando non incontri qualcuno che è più calmo di te che ti fa innervosire. L’immagino leggermente frustrati. 

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Il loro Rabbì, invece, è gigantesco: “A governare con la paura sono capaci tutti: ogni uomo ha il diritto di esistere in quanto uomo, senza nessun aggettivo a precederlo. Uomo e donna: non samaritano, scriba, depravato, buongustaio”. Lezione durissima, un’emerita sberla in faccia alla prima Chiesa nascente, alla Chiesa primitiva. Fosse stato Giuda a proporre la mattanza, avremmo pensato che c’era d’aspettarselo da uno come lui. Giacomo e Giovanni, invece, hanno proprio sorpreso la platea: a guardarli da fuori parevano impeccabili, ma nel cuore ardeva una voglia matta di bruciare vivi chi non ragionava come loro.

Non tutto il male vien per nuocere, comunque: Cristoddìo, da questa svirgolata apostolica, cerca di trarre il meglio. Mette i puntini sulle i, in modo tale che nessuno s’illuda che seguirlo procuri più guadagni che costi. Sarà durissima, non glielo nasconde. Nella sua bottega, ch’è la sequela, non c’è spazio per gli entusiastici: qui non ci sarà neanche un cuscino dove poggiare la testa, altrochè camere surriscaldate. Manco per chi ha la morte dentro, a costi d’apparire insensibile, sarà facile andargli dietro. Nemmeno per chi ama piangere sul latte versato: l’aratro, per riuscire ad arare, deve proseguire andando avanti, non indietro.

“Cristoddìo, questa sì ch’è intransigenza” avranno ribattuto da sotto le barbe. Lasciò loro la libertà di dissentire: non obbligherà nessuno. Resta il fatto che, dopo aver implorato lo sterminio degli altri, non poteva certo finire a tarallucci e vin santo. O con una battutina da “preti”.

Commento a cura di don Marco Pozza
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