don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 26 Dicembre 2021

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Cronaca di una famiglia in crisi

Per entrare nel mondo quella volta – che passò alla storia come la grande prima volta – tra tutte le forme di vita possibili, Gesù scelse la più comune, quella che più di tutte lo fece rassomigliare alla stirpe umana. Scelse di vivere al mondo come uomo normale, un semplice figliolo, un adolescente qualunque: non andò a ritirarsi in uno sperduto convento, ma scelse di nascere dentro una famiglia.

Una madre, un padre, una quotidianità da lavorare: «Gesù non era appartenuto all’ordine monastico né all’ordine angelico – scrisse Péguy – ma a quello della gloriosa corporazione dei padri di famiglia». Una famiglia tradizionale, senza la boria di sapersi diversa e, dunque, da vivere mantenuta dalle agevolazioni: tre componenti che, ciascuno intento nel suo daffare feriale, s’aspettavano la sera per cenare tutti assieme. Così tradizionale d’apparire quasi (dis)umana. La nascita fu alquanto bizzarra, ma tutto il resto fu la vita di ogni uomo: la falegnameria, il banco da lavoro, la pialla, la sega e la lima, così che, vedendolo all’opera, nessuno gli poteva «rimproverare la vita di lavoro ben fatto con suo padre Giuseppe».

T’immagini lo sbigottimento nel vedeer che in Gesù c’era un Dio che si dimostrava lealmente uomo, lavorando come tutti i mortali? Un giovanissimo impresario – «Non è costui il figlio del carpentiere? (Mt 13,55)» dirà un giorno la gente di lui ricollegandolo al suo primo mestiere – che contribuì, come figlio, a fare fruttare il patrimonio esiguo di Giuseppe. Visse anche Lui, in presa diretta, lo strozzamento dell’economia del tempo: “Figliolomio – gli avrà ripetuto ad oltranza, resoconti alla mano, il padre a fine anno – la pressione fiscale è ai massimi storici. Lavoriamo mesi interi per lo stato e, con quel poco che si avanza, dobbiamo fare tutto il resto”. Faticare, essere corretti, pagare le tasse: perchè la sua storia fosse leale, per vivere lealmente, non potè improvvisarsi sindacalista, ma dovette spartire la legge prima degli umani: il pane di sudore.

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Governare una famiglia, però, è poco meno difficile che governare un regno: pezzi che mancano, pezzi che s’allontanano, pezzi che a volte mal s’incastrano, “ma non vorrei non averla una (mia) famiglia” pensò a più riprese Gesù. Il quale visse la duplice sorte di chi è figlio e contemporaneamente padre, figlio di Maria e di Giuseppe sapendo d’essere anche il padre-spirituale di quei due. Una sorte buffa che, a pensarci mezz’istante, manda in baraonda anche il cervello più rodato: come obbedire a della gente che ti dovrebbe obbedire, perchè sottomettersi a gente di stirpe inferiore, com’essere obbedienti senza correre il rischio di farsi zerbini?

Non fu per niente facile, per Cristo, andare alla scuola di Maria sapendo d’esserle Maestro, stare a libro paga di Giuseppe con la certezza d’essere Lui il Datore del padre? Non mancarono giorni di sconforto, non si fecero mancare la crisi adolescenziale. A Gerusalemme, un pomeriggio, il più piccolo si decise a fare di testa sua, mandando a svernare nell’angoscia la (santa) famiglia: «Non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui». A Gerusalemme scoccarono i giorni dell’incomprensione: «Perchè ci hai fatto questo?» Nulla di disumano, fu la più umana delle situazioni: mamma-papà che tentano d’organizzare il futuro dei figli per poi vedersi deludere dai diretti interessati.

Parlare di delusione è disonesto, parlare di correzione è più onesto: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del padre mio?» Proprio lì quella (strana) famiglia quella famiglia divenne santa, la Santa Famiglia: quando si andarono a ricomporre dopo la (s)composizione. I tre mostrarono che la famiglia sono quelle persone che sono venute in cerca di te quando ti eri perduto.

Si corressero a vicenda, senza che l’uno umiliasse pubblicamente l’altro: “I panni sporchi, laviamoli nel caso dentro casa” s’erano accordati anzitempo. Non si capirono al volo, per questo rientrarono a casa, ciascuno con il suo daffare bene in vista, ognuno ad allenarsi con le sue cose non-capite: la Madre a custodire «tutte queste cose nel suo cuore». Gesù tutt’intento a crescere «in sapienza, età e grazia». Davanti a Dio, anche davanti a Giuseppe. Ancora diciotto lunghi anni a condividere malattie e dentifrici, dolcetti e bagnoschiuma, prestandosi denaro, difendendosi, ridendo, e cercando di capire, ciascuno, il punto di vista dell’altro.

In tutti misero su famiglia.

Commento a cura di don Marco Pozza
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