Vado a dormire, che mi scappa da sognare
Falegname: di quelli che piallano il legno, smussano gli spigoli, lavorano la materia. Più probabilmente, però, fu carpentiere: il ferro, l’incudine, il martello. Qualunque sia stato il suo mestiere, pare strano che Gesù sia andato a bottega da Giuseppe: “Potessi farti un riassunto della mia vita – lo immagino confidarsi con il Figlio che gli passa una tavola da levigare – ti direi che se non segui i tuoi sogni, qualcuno ti costringerà a seguire i suoi, Gesummio”.
Pronunciata così, tra un pezzo di ferro da saldare ed una sedia da consegnare. Non spiegò mai, al Gesù-Bambino, i suoi sogni: non c’è nulla di più insensato della spiegazione di un sogno. Quello che il Cristo-infante, però, acciuffò al volo, fu il nocciòlo della questione, che fu batticuore per il suo cuore: “Sono frutto dei sogni di mio padre”. Bastò: «E se tutti noi – scriveva Fernando Pessoa – fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?» Sogni sognati da Dio: ci sono dei mezzi blindati, dei laser potentissimi, ci sono missili teleguidati che consentono di fare la guerra da un computer. Eppure, a Gerico, le mura caddero al suono delle trombe quella volta; Davide sconfisse il gigante Golia con fionda e sassolini. Ci sono cose che non fanno nessun chiasso, cose di nessuna importanza. Dio le gioca: per ribaltare la partita e giocarsi la vittoria.
Poi, quando dorme, Dio sogna il mondo. Me l’immagino: “Vado a dormire, che mi scappa da sognare” bisbiglia all’orecchio prima d’andarsene, per poi ritornare. Giuseppe di Nazareth era l’ultimo galantuomo rimasto laggiù, in terra di Giudea: nella genealogia carnale di Cristo – la più immorale della storia umana (leggete la prima pagina di Matteo. Basta e avanza!) – arriva per ultimo. All’ultimo, il primo dei giusti, capitò quello che nessun uomo augurerebbe ad un suo simile: «Maria – la sua dolcissima Maria – si trovò incinta per opera dello Spirito Santo». Non esiste prova più assurda per Giuseppe che meditò di «ripudiarla in segreto». “Tornatene a casa tua, Maria. Vattene in silenzio, che nessuno ti offenda: ti vorrò bene sempre, comunque”.
Nel dolore, però, non perdette la signorilità: rimase il giusto che era stato.
Poiché era giusto davvero, sognò. Victor Hugo, il papà de I miserabili, era certo che un uomo si potesse conoscere con maggiore sicurezza più da quel che sogna che da quello che pensa: tutte le cose che abbiamo dimenticato ci chiedono aiuto in sogno. Fece quattro sogni Giuseppe: poca-roba, frammenti di luce, più annunciazione di misteri che delucidazioni in merito. “Magari una notte riuscirò a sognare tutti i finali dei sogni precedenti, Maria” le avrà confidato dopo uno dei loro risvegli incasinati.
Una notte un sogno gli funse da salvagente, udì parole-su-misura per vestire la sua angoscia tremenda: «Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa». Dio non scappa dalle sue responsabilità: è l’annunciazione dell’angelo a Giuseppe. Come la sua Bella, si (af)fidò a quelle parole: svegliatosi, «fece come gli aveva ordinato il Signore». La guardò, la vide ancor più bella col pancione in controluce, le dedicò la sua buona-giornata. Era annuncio di fiducia: «Ho sognato di te come si sogna della rosa e del vento» (A. Merini). A Nazareth, in piena burrasca d’amore, fu chiaro a tutti gli spettatori che ci vuole coraggio per apparire fragili: lo stesso che serve per dimostrarsi uomini. E’ il destino dei poveri: i ricchi, nel pericolo, hanno il potere. I poveri, quando la terra trema, hanno il cielo, le stelle e i poeti. Se sognare è pericoloso, il rimedio non è sognare di meno ma sognare tutto il tempo. Sognando con i sogni di Dio, Giuseppe aggiunse la sua speranza alla fede di Maria: in due hanno fatto tutto.
Il “secondo”, in una competizione, è il primo degli sconfitti. Giuseppe arrivò sempre “secondo”, fu l’eterno secondo: lo sposo-secondo, il padre-secondo. Fu il “secondo” delle due creature più illustri che il Cielo partorì quaggiù in terra. Ci sono secondi-posti invidiabili: sono posti che valgono oro. E’ che si dovrebbe imparare tutti a vivere dalle stelle: brillare senza oscurare la luce degli altri.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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