Stessa storia, stesso posto, stesso bar
Li vide da lontano, Lui che vedeva così vicino da vederci dentro. Vedendoli sempre lì, fischiettò: «Stessa storia, stesso posto, stesso bar. Stessa gente che vien dentro, consuma, poi va» (883). E, fischiettando senza che s’accorgessero, si chiedeva se quella ciurma di gente, con la rete da pesca tra le mani, sapesse davvero cosa faceva lì: «Non lo so che faccio qui».
Qualcuno comunicò loro dal porto che erano nel mirino di quell’Uomo che andava di qua e di là, mimetizzato da finto-tonto: “Di voi sta parlando: l’avete indovinato il testo della canzone?” E loro, gente che la vita di mare aveva reso pragmatica, fecero spallucce. Come a dire: “Abbiamo sempre fatto questa vita. Cos’è che, adesso, non va più?”
E Lui era proprio questo che avrebbe voluto dire loro: “Abbiamo sempre fatto così. È la frase più pericolosa in assoluto, amici miei”. Non erano cattivi, affatto: è che a forza di fare sempre le stesse cose, ripetendole all’infinito, stavano correndo il rischio di diventare ciò che facevano ripetutamente, ormai senza più pensarci. Stavano diventando l’abitudine di loro stessi, invece che la migliore versione.
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Lui, comunque, non disse nulla: fece finta di parlare alla suocera perchè si sa che, parlando alla suocera, la nuora capisce che si sta parlando di lei. Prima, a dire il vero, aveva anticipato lo zufoliò con una frase che sembrava gettata lì a caso: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo».
Come dire: “Fra poco si chiude!” Lui non gettava mai a caso nessuna frase: si dilettava a giocare di fioretto, in contropiede. Non ripeteva: era convinto che un arcobaleno che durasse più di cinque secondi non l’avrebbe osservato più nessuno. Quei due fratelli, Simone e Andrea, continuavano a pescare. Eran due le cose: o non capivano affatto che stava rimirando loro, oppure lo avevano capito così bene da provare una certa paura e impegnarsi a fare finta di non avere capito nulla.
Più la seconda della prima se l’Uomo che zufolava – «stessa storia, stesso posto, stesso bar» – ad un certo punto disse che aveva capito che loro due facevano finta di non avere capito. Per questo – invece che rinfacciare loro: “Ma siete capre a non capire oppure vi pagano per fare le capre”? – andò a segno togliendo ogni equivoco sul fatto che stesse parlando di loro, che stesse parlando a loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini».
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Era Uno che ci sapeva fare: non chiese loro di diventare idraulici – avrebbero potuto rinfacciargli che avevano impiegato anni di scuola per imparare quel mestiere e che ormai andava ottimizzato il tempo -; nemmeno di aprire una società di navi da crociera. Mostrò di provare grande simpatia per quel loro mestiere, mettendo loro la pulce che Lui, quel mestiere, avrebbe saputo farlo fruttare infinitamente di più: “Nessuna paura! Restate pescatori, altroché: solamente che, cambiando la destinazione d’uso del vostro mestiere, secondo me alla fine ci si guadagna di più in termini di felicità”.
Siccome pescare pesci tutti i pescatori erano capaci, propose loro di specializzarsi a pescare uomini. Sempre di pesca si trattava: ma cambiava il bacino d’utenza. Un mercato nuovo, vergine, tutto da esplorare.
Lo disse loro con l’aplomb di uno che parla di certe cose – pescare uomini! – facendole sembrare le più usuali delle azioni. Diede loro l’impressione d’esser così affidabile che «subito lasciarono le reti e lo seguirono».
Poi, vedendo i due boss mollare e andargli dietro subito, anche gli altri caddero come birilli, uno in fila all’altro «Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello (…) andarono dietro a lui» (cfr Mc 1,14-20). D’ora innanzi, pescando uomini, ne combineranno di tutti i colori e finiranno per far mettere le mani nei capelli al Maestro. Lui, però, perdonerà loro tutto per quest’umile follia d’aver avuto il coraggio di mollare il certo per l’incerto, il porto per il mare aperto.
“Perchè, secondo te, avrebbero potuto rifiutare un invito così? Che stai a dire!” Certo che avrebbero potuto: li rifiutiamo anche noi chissà quante volte. D’altronde si sa che è soprattutto la felicità a spaventare.
Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte