La salvezza si consegna a domicilio
Sono parole d’arciere, di quelle elastiche che fanno un passo indietro per prendere meglio la rincorsa e catapultarti lontanissimo. Giovanni, l’evangelista, è l’arciere di Dio: tira-indietro la storia all’inverosimile come fosse la corda di un arco, una retromarcia di millenni – «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» – per poi scoccare la freccia e scaraventarti sotto casa, pieno di vertigini, la pelle d’oca: «E venne ad abitare in mezzo a noi». Vertigini, giramenti di testa, giravolte di pensieri: “Com’è possibile questo?”, ti viene da dire, sballottato dall’adrenalina che fiocca copiosa nel sangue.
Dovesse giustificarsi – Dio non avrà mai bisogno di farlo, comunque – svilupperebbe un concetto elementare: “Se dobbiamo fare qualcosa d’immenso, tipo nascere in terra, almeno che la vertigine ne valga l’altezza!” D’altronde, il Satanasso ordiva dei discorsi così di circostanza che lasciavano un vuoto da vertigine: “Sei il mio amore! Io e te insieme per sempre! Che la vita ti sorrida”. Parole bellissime, declamate però a debita distanza di sicurezza: che restasse, comunque, un’uscita di sicurezza nel caso si dovesse render conto di quelle parole.
“Ricorda, Figliolomio – disse Iddio al Gesù in partenza -: l’unico modo per dire Mi manchi! senza mentire, è farsi trovare sotto casa!”. Partiti!
Arrivati sottocasa, «ad abitare in mezzo a noi». La distanza tra la terra e il Cielo pareva incolmabile: ciò che pareva impossibile anche solo a immaginarsi, per il Cielo fu un’operazione di ordinaria amministrazione. Venne e fece tutto Lui, anzi lo fecero tutti e Tre assieme. Un problema, però, a tutt’oggi persiste: che Lui «venne fra la sua gente», accorciò la distanza, svangò la gran parte del lavoro, ma «i suoi non l’hanno accolto».
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D’allora fu chiaro a tutti ciò ch’era chiarissimo a loro Tre, gli ideatori della libertà umana: che in ogni storia d’amore non basterà che uno, partendo da lontano, si faccia trovare sotto casa. Sarà necessario che l’altro, da dentro, apra la porta per fare in modo che l’incontro avvenga. Loro Tre l’avevano calcolato anzitempo il rifiuto: «Ecco, sto alla porta e busso – (s’erano fatti divieto d’usare il piede di porco) -. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Non per questo, però, il dispiacere fu sminuito nel vedersi la porta chiusa: “E’ permesso? (nessuno risponde) C’è qualcuno? (nessuno risponde) Scusate, posso entrare? (nessuno risponde)”. Un viaggio così vertiginoso meritava forse un’accoglienza diversa diremmo noi, che siamo i discendenti di chi non rispondeva al bussare di Cristo. A rattristare al punto tale da mangiarsi le unghie, è il pacco-dono che non sono riusciti a consegnare: a causa della libertà, c’era bisogno di una firma, d’una attestazione dell’accettazione. Che dono? «A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio». Da figli di NN a figli di Dio, tutto in un tocco sulla porta. Basterebbe aprire, accettare: non è necessario il meritare.
M’intrigano i corrieri dei pacchi a domicilio: quando l’incrocio, non si vede che la testa. Non li conosco, non conosco granchè di loro: qualcuno, però, a forza di (ri)vederlo sfrecciare, mi ha reso familiare il suo volto. L’altro giorno, incrociandone una, mi sono accorto che mi fissava: l’ho seguita sulla destra, per un po’ di metri, con lo sguardo fisso. “E’ lei? Perchè mi fissa?” Poi, voltandomi a sinistra, ho avuto la stranissima sensazione di passare velocissimo di fronte alle case, come se fossi dentro il furgone al posto suo.
Senza accorgermi, in quello scambio di sguardi, era come se mi fossi tramutato in lei e vedessi la strada con i suoi occhi. A Natale, Dio mi presta gli occhi suoi, per riuscire a vedere Dio in persona: «Dio nessuno l’ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». Tutto sottovoce, però, perchè i traguardi più belli non hanno bandiere che sventolano. Il Cielo lo sapeva bene che, ogni tanto, l’uomo ha bisogno di una vertigine che lo faccia vibrare.
La vertigine dell’attimo in cui capiamo di piacerci a vicenda.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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