Piano di investimento con rischio
Non l’ha mai sentito veramente suo, non l’ha mai fatto veramente suo quel talento il terzo servo, quello che dalle dolci labbra di Gesù ha sentito sgorgare il fetore rancido di parole d’aceto: «Servo malvagio e pigro». Che, al netto di tutto, non era una semplice pigrizia la sua: era una forte motivazione a non fare nulla. Con la scusa che, facendo, avrebbe corso il rischio di sbagliare: “Non son pigro – reagiva alle sollecitazioni di chi lo stimolava ad alzarsi dal divano -: è che son fortemente motivato a non correre nessun rischio”.
Pensava, forse, che da pigro avrebbe stimolato le capacità degli altri! Quando, anni prima, la maestra chiese di riassumere la sua vita in una parola, lui rispose: “Divano!” Lei, cercando forse di vivacizzarlo, gli diede la possibilità di usarne due: “Divano-letto!” rispose. Insomma, in una scala da uno a dieci, la sua pigrizia avrebbe preso l’ascensore: «Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri – si sentì rinfacciare quando andò in ufficio a riconsegnare la carta di credito -: ritornando, avrei ritirato il mio talento con l’interesse».
Mica ebete il padrone: riavuto in mano, dopo parecchio tempo, il talento donato, s’è accorto che non s’era fatto nulla con quel talento. E non facendo nulla, si era persa la possibilità di guadagnare qualcosa correndo il rischio di perdere tutto. Occorreva, insomma, non soltanto alzarsi dal divano ma innamorarsi di quel talento, facendo di tutto perchè diventasse il proprio talento, una parte di sé. L’ambizione, sanissima nei Vangeli, fu ostacolata dalla pigrizia.
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Amen e così sia. Così, comunque, non va bene. Non andrà mai bene così: «Toglieteli dunque il talento, e datelo a chi ha dieci talenti». Gli toglie il talento: adesso, forse, il servo fiaterà meglio. C’è anche chi, al solo annuncio che gli è stata intestata un’eredità, trema dall’ansia che gli nasce nel petto al pensiero di come gestire quell’eredità. Perchè anche le capre sanno che un’eredità, perchè diventi davvero tua, non basta riceverla: sarà neccessario rimetterla in gioco e rischiarla. Meglio, dunque, non riceverla? A quanto pare sì: per qualcuno ciò che ritiene un problema da gestire – il talento – è semplicemente la vita.
E con la vita, occorre fare attenzione che non vada in scadenza anticipata, visto che la data di scadenza non è dato a noi di conoscerla anzitempo: «Se c’è qualcosa che amate, tenetevelo stretto perchè non si può mai sapere quando verranno a portarvelo via» (M. Bible). Gli altri due, invece, hanno rischiato l’osso del collo quando si sono visti affidare un patrimonio del genere: “Qui, amici, con un po’ di sana intraprendenza, si può fare fruttare quest’eredità” hanno pensato. Investire non è truffare, e nemmeno un gioco d’azzardo. Anche se, azzardare, è la regola degli investitori visto che investire in ciò che è sicuro raramente è redditizio.
“Se tu aggiungi poco al poco, facendolo di frequente, il poco, in poco tempo, diverrà molto” han pensato i primi due. Che, magari, si saranno pure scambiati i talenti per diversificare gli investimenti. L’altro, invece, tremando assai rifiutò l’invito a mettersi in società con loro: “Il modo più sicuro che io consola per raddoppiare il denaro, è quello di piegare la banconota in due e metterla nella mia tasca” fu il suo ragionamento. Ci sta che ognuno faccia il fuoco con la legna che ha.
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Non resta che aspettare la risposta del mercato, il ritorno del padrone. Che non solo non rivuole indietro né il prestito né il guadagno, ma aggiunge anche il premio produzione per il coraggio messo in campo. Ad entrambi: «Prendi parte alla gioia del tuo padrone». Il prestito, raddoppiato, con in allegato pure la gioia del padrone.
E, come non bastasse, anche il talento tolto a chi l’aveva piegato in due: «Togliete il talento e datelo a chi ha i dieci talenti». Senza più il talento, il rischio è una dannazione da scontarsi per tutti i giorni a venire: un rimpiangere il futuro che non saremo mai. Per arrivare davanti al padrone e, senza tanti giri di parole, ancora prima di sentirci dire che siamo servi «malvagi e pigri» (cfr Mt 25,14-30) percepire che siamo diventati quei vecchi che avevamo giurato di non diventare mai.
Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte