I macellai e l’oculista
A quella gentaglia inasprita come l’aceto, ha provato a spiegarlo tre volte che lui era nato orbo: non miope o presbite, orbo completo. Adesso, però, tutto all’improvviso ha iniziato a vederci, come avesse una lente d’ingrandimento al posto delle vecchie pupille addormentate: “Che gioia vedere come sono fatte le araucarie, i fianchi di mia madre, le mani del padre, la facciata della sinagoga. Quando apro gli occhi, li spalanco come finestre – che non vorrei richiudere –: è tutto una prima volta”.
C’è gioia in quest’orbo nato che, per la prima volta, si sta affacciando alla vista. Loro, invece, sono rabbiosi: non capiscono che motivo ci fosse per non lasciarlo orbo per tutta la vita. Siccome loro hanno occhi che non son mai stati guastati, non capiscono che motivo c’era per riparare quelli di uno che, se è ridotto così, “un motivo ci sarà”. Ovvio, mica si soffre senza un motivo che sia valido: «Rabbì, chi ha peccato: lui oppure i suoi genitori perché sia nato cieco?»
Persino i discepoli – gente che sta appresso al Cristo, ultimamente, di giorno e di notte – mostrano d’avere la passione per il trash: “D’altronde, se uno sta male, vivaddio, qualcuno dovrà avere fatto peccato”. Nutrono in cuore una immagine idiliaca del Dio che stanno frequentando: un macellaio con il sangue addosso, un fine vendicatore di dispetti, uno che se la lega all’orecchio per non dimenticare gli smacchi subiti. Nessuna differenza, dunque, tra i discepoli e la squadra dei fedeli di messa-prima: dopo i suoi vicini di casa, «i farisei, dunque, gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista».
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Invece che festeggiare la vista ricevuta, come fosse una grazia, vogliono capire come mai non sia ancora cieco: di sabato, tra l’altro, se uno soffre bisogna lasciarlo morire piuttosto che infrangere la legge. Quella che, chiedendoti in cambio il cuore, ti preserva dalle rotture di ogni sorta. “Tu vivi così e io ti assicuro che non avrai gatte da pelare”.
Doppiamenti incazzati, incazzosi: perché ci vede e perché questo Uomo si sta prendendo lussi inaccettabili. D’altronde han fiutato il rischio: “Se qui si apre una fessura e non la chiudiamo all’istante, crollerà la Legge intera”. L’uomo che loro s’immaginano macellaio, in realtà sa bene come comportarsi: «Và a lavarti nella piscina di Siloe» disse all’uomo orbo senza nemmeno chiedergli la mancia per la prestazione compiuta. Tutto gratis, nessuna richiesta di merito, grazia allo stato puro: «Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva».
La cosa buffa, però, è che iniziò a vederci ancora meglio di quelli che ci vedevano dalla nascita: vide che loro, siccome avevano sempre vissuto nel paese della vista, non riuscivano più ad osservare nulla senza indossare gli occhiali della legge. Provò a dirglielo: «Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?», ma finsero che il rumore di un aeroplano avesse coperto la sua domanda. E invece che rispondergli, lo insultarono non trovando di meglio che offenderne la vita intera: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?» Se uno ci smaschera, d’altronde, lo si potrà sempre accusare di violazione della privacy. Capita, però, che l’ultimo arrivato a casa nostra ci veda meglio. Accorgendosi di ciò che noi non ci accorgiamo più.
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Saran questi a crocifiggere il guaritore di quest’orbo che, adesso, ci vede così bene da accorgersi ch’è rimasto da solo al mondo. Pure quelli di casa sua, invece che scoppiare di gioia, se ne sbattono altamente gli occhi: «Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui da sè» rispondono a chi chiede lumi sul certificato medico di nascita del figliolo guarito. Ha tutto il mondo che gli rema contro: adesso è lui coi suoi occhi a vederlo.
Ha perso tutti, ma ha incontrato Lui: «Credo, Signore!» Dunque ha tutto ciò che gli serve non soltanto per vederci meglio ma soprattutto per vedersi meglio lui. Per tutti gli altri – «Siccome dite: “Noi vediamo!”, il vostro peccato rimane» rinfaccia loro il Cristo oculista – vale bene il detto che finché tu non saprai veder la bellezza ovunque resterai cieco. Anche se pensi di vederci.
Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte