Allenarsi all’insuccesso
Il tirocinio è finito. Fine dell’apprendistato accanto al Cristo: a volte le cose buone devono finire perchè le cose migliori abbiano inizio. Sia chiaro: fosse per loro, i Dodici amici (pre)scelti del Rabbì, nessuno li schioderebbe da dove sono. Il fatto è un altro, chi tra loro è pescatore lo conosce molto bene: non si diventa marinai restando fermi nel porto a sognare gli oceani, deve pure arrivare l’attimo della navigazione. Eccolo: «Gesù chiamò a sé i suoi e prese ma mandarli a due a due». Punto, fine della formazione presso la bottega delle guarigioni di Cristo: è giunta l’ora d’andare nel mondo a rimettere in sesto le carni come han veduto fare all’Amico, di riaccendere la speranza che fuma sotto la brace, di alleviare le piaghe dei cuori in allarme.
E’ l’ora della grande partenza: “Possiamo allungare un po’ la formazione, Rabbunì?” avrà pure chiesto qualcuno che, di fronte a una così grande sfida, sentiva la trepidazione allarmarsi. Nessuna proroga da parte del Maestro. Il giorno incomincia e finisce senza il nostro placet: non siamo noi i padroni del tempo, siamo però padroni di dargli senso, significato. C’è stata una stagione nella quale sono arrivati dal Maestro: è stato il periodo degli inizi. C’è la stagione, ed è adesso, in cui quell’arrivo è il punto di partenza per un’altra di partenza: Andate, dunque! A conquistare il mondo a furia di carezze e di cure.
Stramba missione quella che poggia, che poggerà sempre, sulle spalle dei Dodici tirocinanti che hanno appena finito il contratto di apprendistato: «Ordinò di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche». Il che è di un’imbarazzo immane: mandati nel mondo a scoperchiare il male con tutte le sue furberie, ci andranno completamente scoperti dell’inutile, perchè tutto ciò ch’è necessario glielo fornirà loro il Cielo. “Vitto e alloggio, comunque, saranno a spese mie!” confidò loro il Maestro sull’uscio di casa. Alle dipendenze d’Iddio, dunque: come l’operaio che, in procinto di partire per l’estero in missione per la sua azienda, sa che le spese-vive gli verranno retribuite, gli son state anticipate, gli verranno accreditate sul prossimo stipendio.
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Solo un bastone come mezzo di equilibrio perchè, in caso d’emergenza per la stanchezza, «quando non potrai camminare usa il bastone. Però non trattenerti mai» (Santa Teresa di Calcutta). La qual cosa, comunque, è d’una finezza divina: non avendo mezzi a ruote che siano loro concessi, nessuno riuscirà, pur tentando sovente, di mettere loro il bastone tra le ruote. Un giorno, compiuta l’attraversata, chi tra loro brillerà per ironia, potrà pur svelare il segreto dell’insuccesso degli avversari: “A tutte quelle persone che in tutti questi anni ci hanno messo i bastoni tra le ruote, volevamo dire soltanto che non abbiamo mai avuto le ruote”. Solo i sandali e l’amicizia: «A due a due». Senza nulla, ma non nella solitudine: Cristo è incisore di cuori.
Allenatore che non t’illude: «Se in qualche luogo non vi accogliessero, non vi ascoltassero – li sta allenando all’insuccesso, robe da giganti – andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». La paura di non farcela, d’esser derisi, di rincasare sconfitti non sarà mai cagione adeguata per non partire: il vero fallimento non sarà una sconfitta ma il fatto di non averci provato. Tra successi e insuccessi, comunque tutti parziali finchè si lavorerà sul campo del mondo di quaggiù: «Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale – scrisse W. Churchill -: ciò che conta è il coraggio di andare avanti».
Con quel vasetto d’olio in tasca, bloccato sul passante della cintura: «Ungevano con olio molti infermi e li guarivano». Oltre a scacciare i dèmoni, a fare la guerra alla guerra, a mandare a quel paese il citrullo di Satàn. Qualche volta falliranno? Sì. Alcune sconfitte, però, sono più trionfali di certe vittorie: non confonderanno mai una singola sconfitta con quella definitiva. Da una cosa, comunque, nessuno li schioda: meglio fallire nell’essere originali piuttosto che vincere nelle imitazioni.
Commento a cura di don Marco Pozza
(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)
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