don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 10 Aprile 2022

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Fra intendersi e fraintendersi è un attimo

Hanno corso come matti, assieme a Cristodìo, per tre stagioni. Adesso, sul finire dell’avventura (che è, anche, il vero inizio) c’è un rallentamento pauroso, proprio in vista del traguardo di Gerusalemme: della grande partenza dalla Città Santa. I prossimi saranno giorni così rallentati d’apparire quasi alla moviola: che nessuno, tra gli spettatori non-paganti, possa dire che i fatti son accaduti con tanta velocità da non riuscire a guardarli bene in faccia (cfr Lc 22,14-23,56). Uno tra tutti, forse il più grande dato di fatto dell’intera stagione apostolica: che gli apostoli, in perpetuo bilico tra l’affetto e la sopportazione, abbiano frainteso alla grande il nòcciolo della questione.

Che il Re, cioè, – non uno dei tanti reucci terrestri ma il Re della storia – fosse venuto per comandare un esercito alla conquista del mondo intero. Del fatto che volesse conquistarsi tutti i cuori possibili, non ne fece mai un mistero: voleva, dunque, conquistare. Non alla maniera degli amici, però: aggredendo, con metodi abietti, usando forni crematori mobili, fosse comuni come dimenticatoi. All’opposto: lasciando che lo aggredissero, si sottopose a dei giudici codardi, sentì innalzarsi la Croce quando ancora era un bambino. Per questo Giuda e compagnia fecero la spia, facendo da palo all’aggressore, usando un bacio di saliva con trenta monete: lo tradirono per una delusione così grande che nessun’altra, di quelle provate fino allora, poteva paragonarsi. Delusi all’osso: “Beffàti, siamo beffàti! È Lui il traditore, è stato Lui a tradire noi!” si dissero.

Non capirono, da strafottenti al soldo di Satàn, che Lui non cercava di vincere l’uomo, sull’uomo: voleva solamente essere suo collaboratore. Loro, però, non riuscivano a credere che non ci fosse nessuna fregatura in agguato per un così grande guadagno. Per questo, a Gerusalemme, Gli imbastirono un enorme festone: perchè quando la città è drogata, non capisce più niente. E anche chi perde, siccome si è tutti drogati, potrà dire che ha vinto.

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A Cristoddìo, invece, di dire che ha vinto quando invece ha perso non gli importava. Gli interessava, invece, insegnare al mondo che per vincere è necessario perdere, cioè mettere storto il mondo per riuscire a vederlo dritto. Rallentò terribilmente, dunque: e lo fece proprio alla fine, perchè era la cosa più logica per Lui dare il meglio di sé in punto di morte. «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono» gli dissero, quando il vento tirava ancora a favore, dentro la sala di Cana di Galilea (Gv 2,10). Avevano visto giusto! Poi, da brilli, se l’erano giustappunto scordato.

Lui, comunque, si tenne il vino più buono per i tre giorni di (non) festa. Per il giovedì, quando si mise in testa di fare un brindisi all’irriconoscenza dei suoi amici: «Non era vero che aveva discepoli e apostoli. A volte uno si sbaglia. Se fossero stati uomini si sarebbero mostrati tali» (Ch. Pèguy). Invece, dopo essersi trovati i piedi lavati, con la pancia piena di Pane, mostrarono di non valere granchè come amici: altrimenti l’avrebbero difeso.

Andò a morire da solo, accarezzando il selciato del Calvario, come le cerve vanno a morire da sole sui monti. Sparse del vino buono rifiutando il trucchetto degli dèi greci: fuggire, appena accerchiati, in sella a carri e cavalli divini. Rimasto solo con sua Mater dolorosa, pianse a dirotto: una preghiera rotta, scossa, spaventosa. Volle rimanere leale con tutto il mondo che aveva percorso: non accettò vie di scampo rispetto a tutti i comuni mortali. Scelse di prendere la morte in piena fronte, tutta intera, come nessuno l’aveva mai presa prima. Lì per lì tremò al punto quasi da bestemmiare il Padre. Poi, però, resistette e portò a casa la vittoria: la Croce divenne il test per mostrare fino a che punto era arrivato nella sua avventura di farsi uomo.

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Per tutto il sabato, lasciò che il mondo battesse i denti: furono le settantadue ore più glaciali, senza più il Re! Quando si spegne la luce, devi strisciare contro la parete a cercare un interruttore oppure cercare di convincerti che si può brillare anche da soli. Senza più un Dio ad illuminarci il volto. Fra intendersifraintendersi è un attimo.

Commento a cura di don Marco Pozza
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