Lettura del Vangelo e commento del testo che la liturgia propone per il 23 dicembre 2024.
Trascrizione automatica (non rivista) generata da Youtube e “corretta” tramite IA.
Buon lunedì a tutti. Ci mettiamo in ascolto del Vangelo che anche oggi ci viene regalato dalla liturgia.
Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia e si rallegravano con lei.
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Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”.
Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”.
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: “Giovanni è il suo nome”.
Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano le custodivano in cuor loro, dicendo: “Che sarà mai questo bambino?”. E davvero la mano del Signore era con lui.
Ci stiamo ormai avvicinando ai giorni del Natale. Poi ascolteremo il Benedictus domani e si compirà questo tempo che ci prepara verso il Natale, per poi celebrare i giorni del Natale.
Questa nascita di Giovanni Battista è ricca di tanti dettagli che meritano di essere colti. Ne sottolineo alcuni.
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Partiamo con il primo, molto interessante, molto forte: si dice che Elisabetta vuole chiamare Giovanni con un nome nuovo. Nessuno della sua parentela si chiamava Giovanni. È molto interessante questo dettaglio della “cosa nuova”, del “nome nuovo”. Sta iniziando qualcosa di nuovo.
Questa è l’intuizione di Elisabetta e questa sarà anche l’intuizione di Zaccaria, che gli aprirà poi la bocca alla lode. Si stanno rendendo conto che Dio sta operando qualcosa di nuovo per questa nostra umanità, che Dio va oltre i nostri schemi, oltre i luoghi in cui vorremmo rinchiuderlo.
Dio sta operando oggi nella storia, oggi interviene nella storia degli uomini con le sue meraviglie. Per questo Elisabetta pensa a un nome nuovo per il figlio. È una grazia da chiedere, no? Quella di essere attenti a quello che il Signore sta operando nell’oggi, senza obbligare Dio nella nostra testa a replicare degli schemi che noi abbiamo già in testa.
Senza che noi dobbiamo andare a dare delle istruzioni a Dio o a insegnargli come deve essere Dio. Elisabetta sceglie un nome nuovo perché comprende che è questo, in obbedienza a Dio, da fare: riconoscere dove oggi Dio sta operando la sua novità.
Dio non smette mai di fare nuovo il mondo. Dio non smette mai, per usare il linguaggio biblico, di fare nuove tutte le cose.
Siamo noi che, tante volte, siamo tentati invece di circoscrivere l’azione di Dio ai nostri schemi, ai nostri “già saputi”, a quello che saremmo disposti ad accettare o a riconoscere. Elisabetta e Zaccaria, con lei, hanno invece il coraggio di riconoscere la meraviglia che il Signore va a operare nella storia.
C’è una seconda cosa molto interessante: proprio quando Zaccaria riconosce che Dio sta agendo nella storia, gli si aprì la bocca, gli si sciolse la lingua e parlava benedicendo Dio.
Ma alla fine, noi nella nostra vita cos’è che abbiamo da dire? Quando non siamo muti? Quando diciamo qualcosa di significativo?
Riusciamo a corrispondere all’azione di Dio nella storia quando noi riusciamo a riconoscere i luoghi, i tempi, gli spazi in cui il Signore sta agendo. Allora abbiamo qualcosa da dire. Se non abbiamo niente da dire, blateriamo, chiacchieriamo, e va bene, per l’amor del cielo.
A volte non è che possiamo sempre fare dei discorsi elevatissimi. Però è importante che qualche volta nella vita sappiamo prendere parola perché so raccontare le meraviglie di Dio e lo so benedire. È in questo modo che noi impariamo davvero a parlare nella nostra vita.
Un ultimo dettaglio: per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte le cose. Chi le udiva le custodiva nel suo cuore e dicevano: “Che sarà mai questo bambino?”.
Mi sembra interessante questa idea del sentire e custodire nel cuore. È veramente l’espressione della meditazione.
Cosa vuol dire meditare? Che so custodire nel cuore ciò che il Signore dice, le sue parole, ciò che mi capita, ciò che capita nella storia, e so farne una sintesi. Questo è meditare la parola di Dio.
Ascolto la parola, vivo la mia vita, vivo la vita dell’umanità e la accosto nel mio cuore. Cerco di trovare l’ordine che Dio sta operando nel mondo. Ci vuole tempo, ci vuole pazienza, ci vuole calma per essere custodi della parola di Dio.
Però abbiamo qualcosa di più nobile da fare in questi giorni limitati della nostra vita se non provare ad accostare la parola e la storia, la volontà di Dio e la storia degli uomini, la saggezza di Dio e le vicende dell’umanità.
Forse questa è davvero la cosa più nobile, no? Che possiamo fare nei giorni limitati che ci sono dati nella nostra esistenza.
Grazie. Auguro a tutti di cuore una buona antivigilia di Natale. E anche oggi preghiamo con l’antifona maggiore che la liturgia ci propone:
O Emmanuele, Dio con noi, attesa dei popoli e loro liberatore, vieni a salvarci con la tua presenza.
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