don Manuel Belli – Commento al Vangelo del 23 Dicembre 2021

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ENTRO IN PREGHIERA

Trovo la pace. Penso che mi sto mettendo alla presenza del Signore. Chiedo ciò che mi serve oggi per la mia vita spirituale. Invoco lo Spirito Santo con la preghiera:

Vieni, o Spirito creatore,
visita le nostre menti,
riempi della tua grazia
i cuori che hai creato.
O dolce consolatore,
dono del Padre altissimo,
acqua viva, fuoco, amore,
santo crisma dell’anima.
Dito della mano di Dio,
promesso dal Salvatore,
irradia i tuoi sette doni,
suscita in noi la parola.
Sii luce all’intelletto,
fiamma ardente nel cuore;
sana le nostre ferite
col balsamo del tuo amore.
Difendici dal nemico,
reca in dono la pace,
la tua guida invincibile
ci preservi dal male.
Luce d’eterna sapienza,
svelaci il grande mistero
di Dio Padre e del Figlio
uniti in un solo Amore. Amen

Cerco la pace, mi concentro sul fatto che sto per incontrare il Signore, chiedo perdono dei miei peccati e mi dispongo a perdonare di cuore il male subito. Chiedo al Signore una grazia che sento particolarmente importante per la mia vita spirituale.

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LEGGO IL TESTO

Leggo il brano con calma, lo rileggo. Mi soffermo su ciò che più mi colpisce. Ripeto la frase o l’espressione che sembra parlare oggi a me. Cerco di immaginare la scena, e immagino me stesso nella scena. Ascolto ciò che provo, le consolazioni che nascono e le desolazioni.

Dal Vangelo secondo Luca 1, 57-66
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

COSA DICE IL TESTO

Nessuno della parentela di Zaccaria o Elisabetta portava il nome di Giovanni: si tratta di un nome nuovo, che sorprende. Tra l’altro c’è un interessante gioco di parole: tutti sono contenti con Elisabetta perché “Dio ha avuto misericordia” e lei vuole che suo figlio si chiami “Giovanni” che significa “Dio ha avuto misericordia”. Tutti si stupiscono, ma Elisabetta sembra suggerire che lei vorrebbe che questo figlio sia semplicemente ciò che è: misericordia di Dio. A volte non è facile essere semplicemente noi stessi, essere semplicemente aderenti alla realtà, semplicemente limitati, semplicemente in questa storia. Elisabetta stupisce perché chiama suo figlio semplicemente con ciò che è.
Il nome di Giovanni tuttavia è un nome nuovo. Nessuno si è mai chiamato così nella sua discendenza. Elisabetta e Zaccaria non hanno paura di augurare al figlio, con questo nome, di essere qualcosa di nuovo. A volte i nostri abbracci vorrebbero stringere a sé gli affetti: vorremmo che le persone che ci vogliono bene siano repliche dei nostri desideri, continui recitare sui canovacci del nostro passato, rassicuranti fotocopie. Invece Elisabetta e Zaccaria sorprendono: non hanno paura di pensare a loro figlio nella novità di Dio.
La forza della nostalgia è più forte di quanto pensiamo. Qualche volta il desiderio di non cambiare nulla si manifesta con la voglia di cambiare tutti: visto che è impossibile rimaniamo nel nostro rassicurante passato. Io credo sia una delle malattie più gravi della chiesa di oggi: tutti ci accorgiamo che c’è bisogno di riforma, tutti sentiamo il rischio del cambiamento. Il modo migliore per non fare nulla e assieme stare con la coscienza apposto è volere cambiare tutto; visto che è impossibile allora ci adagiamo sul non cambiare nulla, “ma io l’avevo detto!”. Forse è il rischio del cammino sinodale: lo sovraccarichiamo “così io avevo detto che bisognava fare questo!”, poi rimarremo nelle nostre rassicuranti confort-zone, ma tutti da profeti “che avevamo detto”.
Tutti fanno cenni a Zaccaria e tutti guardano Elisabetta, che semplicemente accolgono il futuro e la novità di Dio, chiamando il loro figlio con un nome nuovo. Sia invito a non essere profetici perché “va tutto male”, ma ad essere profeti e sapienti insieme che sanno nominare le cose che possono essere cambiate, dando un vero e concreto nome nuovo.

COSA MI DICE IL TESTO?

Cerco di applicare alla mia vita quanto letto e meditato. Posso farmi aiutare dalle domande che seguono, oppure da altre che sono sorte durante la preghiera

1) Ci sono cose “normali” nella mia vita (vorrei essere amato, vorrei un po’ più di pace, vorrei tirare il fiato, vorrei un po’ più di bellezza) che mi vieto?
2) Sono capace della novità dello Spirito?

COLLOQUIO

Termino rivolgendomi al Signore, esprimendo quello che più mi sta a cuore, parlando con lui da amico a amico, da figlio a Padre.

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