Sono tanti i motivi per cui fatichiamo a credere, e ogni dubbio può essere occasione per crescere nella fede. Ma il Vangelo della terza domenica di Pasqua riporta una frase difficile: “Per la gioia non credevano”. Si può non credere per la gioia? Eh sì, ed è forse una delle ragioni più pericolose, perchè non ci riteniamo degni della gioia, e la vita intristisce.
Il contesto: Si tratta della terza manifestazione del Signore Risorto. Sulla prima, Luca si sofferma in modo diffuso sulla esperienza dei due discepoli di Emmaus, si parla di una apparizione a Simone che viene solo accennata, e poi si sviluppa questo terzo racconto. Segue per Luca il racconto dell’assunzione di Gesù in cielo.
La scena iniziale è molto simile al corrispettivo di Giovanni: Gesù appare alla comunità, “sta in mezzo” e invoca su di loro la pace. Sappiamo che è un gruppo che non è nella pace: i due di Emmaus ci hanno parlato di tristezza e fatica, di lì a poco li vedremo impauriti e terrorizzati. A questo gruppo impaurito, deluso e perplesso il Signore si manifesta stando nel mezzo e donando la pace. Non è solo una descrizione cronachistica o una indicazione temporale: si tratta di un ritratto ideale della chiesa. La chiesa è questa comunità che non manca di paure, smarrimento, a volte anche confusione, ma che trova la pace nella misura in cui è in grado di mettere al centro il Signore Risorto.
La prima reazione al Signore Risorto della comunità è descritta con due espressioni molto forti: sconvolti e pieni di paura. Si tratta di due aggettivi molto forti che esprimono la forza della paura. Quando il Signore si manifesta, possiamo anche avere paura. La paura è quel sentimento che ci coglie di fronte a ciò che non conosciamo, che ci appare come non addomesticabile e per questa ragione sembra minacciare la nostra integrità. I discepoli realizzano che sono di fronte a qualcosa che non possono manipolare, che gli si impone, che non sanno catalogare, che li sorprende. Non hanno ancora capito l’accaduto, ma sanno che sono di fronte a qualcosa che non possono facilmente disinnescare e che chiede a loro di rinunciare alla loro integrità. Il contatto con il Signore risorto li modificherà, li chiamerà in gioco, li porrà in questione. Forse è davvero necessario passare per questa paura.
Gesù domanda ai discepoli perché sono turbati e perché sorgono dubbi nel loro cuore. In realtà in greco letteralmente c’è: «Perché salgono ragionamenti (dialoghi) dal vostro cuore?». Attenzione! Gesù non è stupito dal fatto che i suoi stiano pensando, e non gli chiede di smettere di ragionare. Il problema è che di fronte al nuovo e al turbamento non si tratta di semplificare la questione. Quando i nostri ragionamenti diventano semplicemente dubbio, dietrologia, scredito, abbiamo un bel problema! Gesù invita i suoi a non rifugiarsi solo nei ragionamenti del loro cuore e al loro tentativo di addomesticare quanto sta accadendo: gli chiede di ragionare e dialogare con lui.
Luca insiste molto sul fatto corporeo e carnale delle risurrezione. Molti autori pensano che qui abbia in mente una obiezione dei primi cristiani, che iniziavano a pensare alla risurrezione come un simbolo, un fatto spirituale, una immagine. L’evangelista invece intende sottolineare che la risurrezione è davvero un fatto che riguarda la carne di Gesù. Anche Paolo, nella sua Lettera ai Corinzi, documenta il dubbio che attraversava la prima generazione cristiana: Paolo si rivolge a coloro che dicono che “non c’è risurrezione dei morti” e afferma che sarebbe vana la nostra fede. Forse non è un problema così remoto anche ai nostri tempi: uno dei modi di “fare salire dialoghi dal nostro cuore” è pensare alla risurrezione come un simbolo, un augurio di vita, un misterioso richiamo a una vaga speranza. Luca e Paolo ribadiscono la fede della comunità degli apostoli: Cristo è vivo nella sua carne. Se questo non è reale, è vana la nostra fede, stiamo costruendo la nostra esistenza su una favola. Ciò che ci autorizza a sperare è che la risurrezione è un evento, e Cristo è il primogenito dei risorti.
Per la gioia non credevano: sembra una espressione quasi paradossale. Ma non è banale: a volte si può non credere perché ci sembra “troppo bello per essere vero”. Sono nella gioia, ma fanno fatica a concedersela: non pensano che sia possibile, pensano di non meritarsela, credono di non esserne all’altezza, sospettano che alla fine non si possa davvero essere felici nella loro esistenza.
Gesù mangia davanti ai suoi discepoli. Forse semplicemente si tratta di un espediente che l’evangelista Luca usa per ribadire la corporeità di Gesù, e il fatto che Gesù si faccia riconoscere a tavola con i suoi indica che il riconoscimento del Risorto è un fatto prettamente relazionale. Puoi riconoscere il Risorto nella misura in cui gli divieni famigliare. I Padri della Chiesa però hanno interpretato in modo molto suggestivo il pesce arrostito come un segno di Cristo stesso (della sua passione) e come un simbolo dell’Eucaristia.
Come per i due discepoli di Emmaus, il riconoscimento del Risorto richiede l’intelligenza delle Scritture. Gesù è la sintesi della Scrittura, in lui quel movimento di liberazione che Dio ha innescato nella storia degli uomini giunge all’apice. La frase che Gesù dice non è una citazione della Scrittura, ma una sintesi: è possibile comprendere Gesù dentro la storia di fedeltà che Dio ha inaugurato con il suo popolo, e ora questa storia è giunta alle cose penultime, poiché non c’è più da attendere una nuova rivelazione di Dio fino alla piena manifestazione di Cristo degli ultimi tempi.
2) Cosa mi dice il testo?
«Sconvolti e pieni di paura». Dio mi ha mai fatto paura?
«Per la gioia non credevano». Sono aperto a lascare che Dio riempia di gioia la mia vita, o rischio di essere chiuso al suo dono sovrabbondante?
«Aprì loro la mente per comprendere la Scrittura». Mi sembra di avere una mente in grado di comprendere la Scrittura?
3) Colloquio
Mi rivolgo al Signore parlando a tu per tu: gli chiedo di purificare la mia gioia, e di aprire il mio cuore ad accogliere la sua gioia.
Signore Dio, noi ti ringraziamo per esserti fatto uomo nel Figlio Gesù, per aver voluto essere un Dio misericordioso che capisce i nostri limiti umani, ci perdona sempre e ci dà la capacità di discernere tra bene e male. Ti ringraziamo, Signore, per essere Dio Amore che ci ama, ci protegge sempre e ci dona ottima salute, grazie e miracoli ovunque siamo e ovunque andiamo. Tu, Signore ti fidi talmente tanto dei tuoi figli che sotto la croce ci donasti la tua giovane Madre, affinchè, non lasciandoci mai soli, Lei ci ricordi sempre che Tu sei l’unico Dio in grado di farci godere della vita eterna. Amen (Serva di Dio Giulia Gabrieli)
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