Tenere dentro un fuoco che brucia
In questo brano di Vangelo, incontriamo una parola che sembra messa lì quasi per caso, una parola un po’ desueta, che rimanda ad un sapore antico, ad un ricordo lontano: la parola zelo, che sta per ardore, fervore, passione; se andiamo al significato del suo termine greco, zèsis, troviamo ebollizione, significato che si ritrova anche nel sanscrito yas-ati: riscaldarsi, bollire.
Ci sono cose, e sono le migliori, che si fanno solo per passione, quella passione che ci infoca, ci fa sdegnare e lottare di fronte alle ingiustizie e ai soprusi, in cui a spingerci è un impeto dinanzi allo sciupìo, o al disonore di una realtà. Sentiamo dentro una specie di furore che reclama rispetto, che grida e brucia.
Anche noi siamo capaci di zelo, non quello che imprigiona e ci ingabbia nella rigidità di un pensiero o di una ideologia, non quello sbagliato di un possesso che non ammette libertà, ma anzi quello liberante, che sa aprire le sbarre di una prigionia, che fa volare. Che dà vita alle scintille. Questa passione anima Gesù, la passione per la sua “casa”: per il tempio che vede ridotto a mercato e per tutto quel che al mondo c’è di sacro.
Bruciava Gesù quando piangeva su Gerusalemme e quando a Nain toccava la bara del bambino morto; ardeva quando davanti ad una folla di straccioni e miserabili li chiamava beati; e si scaldava di passione dinanzi al giovane ricco o a Zaccheo.
[…] Continua a leggere su Avvenire.